Reddito di cittadinanza. Che cos’è?

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Glossario – Razionale – Le proposte in campo in Italia – Un po’ di storia – Le esperienze – Conclusioni

La definizione generica di reddito di cittadinanza o di base (basic income) comprende una famiglia abbastanza composita di proposte finalizzate ad un sostegno economico più o meno
condizionato e, di conseguenza, più o meno ampio.


Glossario

Un glossario minimo, in ordine di ampiezza della platea che potrebbe usufruire della proposta, è il seguente1,2:

  • Reddito di base o di cittadinanza. Attribuito a tutti i cittadini senza alcuna distinzione e senza nessuna condizione.
  • Reddito di partecipazione. Attribuito a tutti coloro che accettano di svolgere lavori di utilità sociale, volontariato, istruzione.
  • Reddito minimo. Attribuito a coloro che sono sotto la soglia di povertà.
  • Reddito di inclusione, inserimento, solidarietà attiva. Attribuito a due condizioni: soglia di reddito e disponibilità ad accettare il lavoro offerto.
  • Imposta negativa sul reddito.  Non sono coinvolti coloro che sono soggetti a tassazione in quanto guadagnano al di sopra della soglia di esenzione dalle imposte (in Italia pari a 8.000 euro l’anno). Invece per gli incapienti, ovvero coloro che guadagnano meno della soglia di esenzione, viene applicata un’aliquota fiscale negativa in modo da colmare la distanza la differenza. Si supponga che un soggetto in Italia guadagni 3.000 euro: il gap rispetto alla soglia di esenzione è pari a 5.000 euro. A questo valore viene applicata l’aliquota negativa (ad il 70%) in modo che il soggetto riceva altri 3.500 euro dallo Stato per un totale di 6.500 euro di reddito. Naturalmente tanto più elevata sarà l’aliquota negativa, tanto più il soggetto si avvicinerà alla soglia degli 8.000 euro.


Razionale

01 Signor_bonaventuraLa questione del reddito di base è indissolubilmente legata all’automazione dei processi produttivi interni al mondo del lavoro e che modificano radicalmente il mercato del lavoro. Si può calcolare che in un prossimo futuro verranno persi dal 35% al 47% degli impieghi attuali3,4,5. La discussione verte solo sul quando questo accadrà. La risposta va da qualche anno a qualche decennio. Pochi osservatori mettono in discussione il fatto che in quel momento si renderà necessario sostenere economicamente la popolazione assicurando a tutti uno stipendio minimo. Se non altro per garantire un livello dei consumi che mantenga la domanda dei prodotti. Quella sarà la società cosiddetta post-lavoro nella quale lavorare non sarà più una necessità ma un’opzione.

In realtà alcuni osservatori ritengono che il reddito di base sia una sorta di remunerazione non per il lavoro svolto ma per il valore prodotto che ciascun consumatore crea nel mercato globale. Così anche il navigare via web contribuisce a formare un prodotto (i big data) che ha un valore economico di assoluta rilevanza e per il quale si deve poter ricevere un compenso. Non solo l’attività di consumo ma anche quelle artistica e ricreativa non rientrano nella definizione novecentesca di lavoro ma contribuiscono comunque a produrre un valore. Il reddito di base diventerebbe quindi una sorta di compenso per attività produttive al momento non remunerate.


Le proposte in campo in Italia

03 Altan Il VenerdìIl reddito di base comincia a fare proseliti un vari ambienti culturali e politici italiani. Da anni se ne occupa un’associazione, Basic Income Network Italia6,  che è una filiazione di una rete più ampia estesa a livello internazionale. Diverse le proposte politiche in campo ed altre ne usciranno nel corso della campagna elettorale. Per essere credibili dovranno essere accompagnate sia da una quantificazione dei costi che dall’indicazione di fonti certe di finanziamento. E da quest’ultimo punto di vista non ha alcun senso invocare il mantra del recupero dell’evasione fiscale, sempre molto indaginoso, a rischio di insuccesso e comunque caratterizzato da tempi lunghissimi. Al momento sul tappeto vi sono le due proposte di SeL e del M5S e l’avvio del reddito di inclusione da parte del Governo.

Sinistra Ecologia Libertà (Reddito minimo). Sinistra Ecologia e Libertà (SeL) nel 2011  ha presentato un disegno di legge al Senato a favore dell’introduzione di un reddito minimo garantito di 600 euro al mese riservato a tutti coloro il cui reddito si colloca al di sotto degli ottomila euro l’anno. Sulla base dei calcoli Istat, ne beneficerebbero 1,9 milioni di famiglie (il 7,5% dell’intera popolazione). Il costo stimato sarebbe pari a 23,5 miliardi di euro l’anno7.

Movimento 5 Stelle (Reddito minimo). Il Movimento 5 Stelle ha proposto nel 2013 un disegno di legge definito “istituzione del reddito di cittadinanza”8. Si tratta in realtà di un reddito minimo agganciato ad una soglia familiare di povertà di 780 euro al mese e condizionata da obblighi impegnativi. Il costo ammonterebbe a 16 miliardi di euro l’anno.  Ne beneficerebbero 2 milioni 759 mila famiglie (10% delle famiglie totali)9.

Governo Italiano (Reddito di inclusione). Su iniziativa del Governo il 9 marzo u.s. è stato approvato in via definitiva il disegno di legge delega sul contrasto alla povertà. In data 29 Agosto il Consiglio dei Ministri ha varato il provvedimento definitivo che prevede l’erogazione di 187-485 euro per 500.000 famiglie in condizioni di povertà assoluta (per un totale di 1,8 milioni di persone beneficiate)10. La platea dei beneficiari riguarda le famiglie con figli minorenni o disabili, donne in gravidanza, disoccupati di almeno 55 anni, stato economico disagiato valutato tramite: Isee non superiore ai 6.000 euro l’anno, reddito effettivo disponibile inferiore ai 3.000 euro, patrimonio immobiliare non superiore ai 20.000 euro (esclusa la prima casa). E’ previsto un impegno di spesa di due miliardi di euro l’anno a fronte di un fabbisogno calcolato di sette miliardi. Questo significa che i fondi stanziati non sono sufficienti a coprire tutti gli aventi diritto e che occorrerà una graduatoria. L’erogazione è temporanea, limitata a 18 mesi, ma potrà essere rinnovata dopo un intervallo di sei mesi per altri 12 mesi. I beneficiari si impegnano a seguire un progetto di reinserimento socialeelavorativo predisposto dai servizi sociali del territorio competente. Il beneficio economico viene erogato mensilmente attraverso la Carta ReI, una carta di pagamento elettronico, a mezzo della quale si prelevare contante sino alla metà del beneficio riconosciuto, pagare alcune bollette, acquistare nei supermercati e centri autorizzati. Il programma è entrato in vigore nel gennaio 2018.


Un po’ di storia

Un riassunto su nascita e sviluppo del reddito di base è contenuto in un articolo molto ben costruito di recente pubblicato su Il Tascabile da Andrea Daniele Signorelli11. Si potrebbe forse far risalire l’idea dell’impiego garantito a Tommaso Moro che, nel 1516, scriveva12: “bisognerebbe provvedere affinché (i ladri, nda) abbiano i mezzi per guadagnarsi da vivere, in modo che nessuno sia portato alla necessità estrema di rubare e di perdere poi la vita”. Un vero e proprio reddito di base era invece proposto dal filosofo spagnolo Juan Luis Vivés, amico di Tommaso Moro. Nel 1526 egli andava oltre il concetto di carità cristiana (privata) per sostenere l’idea che fossero i Municipi a dover garantire la sussistenza dei poveri13.

03 VivesDi seguito si riportano le acute riflessioni di Signorelli: «Il filosofo (Juan Luis Vivés, nda) elaborò nel 1526 una dettagliata proposta – destinata al sindaco di Bruges con il titolo “De Subventione Pauperum” – in cui descrisse la necessità che fosse il municipio della città a occuparsi di garantire un minimo di sussistenza a tutti i suoi residenti. Vives prevedeva inoltre che questa sorta di reddito minimo dovesse spettare a tutti: “Anche quelli che dissipano le loro fortune in una vita dissoluta – attraverso il gioco, le donne, il lusso esagerato, le scommesse – dovranno ricevere il cibo; perché nessuno dovrebbe morire di fame. D’altra parte, a costoro andrebbero assegnate razioni minori e compiti peggiori, in modo che possano essere d’esempio agli altri”. In un’epoca in cui il problema non era tanto la disoccupazione, ma la povertà (“anche i vecchi e gli stupidi possono imparare un lavoro in pochi giorni, come scavare buche o portare l’acqua”, scriveva Vives; oggi il problema è proprio che a breve questi lavori non esisteranno più), ancora non veniva presa in considerazione la possibilità che qualcuno potesse ricevere soldi senza in cambio offrire quanto meno la disponibilità a lavorare. Bisogna arrivare all’epoca delle rivoluzioni, sul finire del ‘700, per trovare un pensatore che sostenga l’idea di un reddito minimo incondizionato, giustificato come forma di ricompensa per l’ingiustizia insita nella proprietà terriera. L’autore di questo concetto è il filosofo, politico e rivoluzionario Thomas Paine: “La terra, nel suo stato naturale e non coltivato, era, e sarebbe continuata a essere, una proprietà comune a tutta la razza umana”, scrive nel libello Giustizia Agraria. “(…) Ogni proprietario terriero, per questa ragione, deve alla comunità una rendita per la terra che possiede”. Una rendita, prosegue Paine “che dovrebbe essere pagata a ogni singola persona quando arriva all’età di ventuno anni”»14.


Le esperienze

Nel gennaio 2017, in Finlandia è stato introdotto un programma che riguarda 2.000 disoccupati. Ma altre esperienze, condotte in un recente passato, risultano importanti per le prime valutazioni di massima e particolarmente utili ad esplorare alcuni comportamenti che possono essere indotti dall’introduzione del reddito di base. In particolare la annosa questione: davvero, potendo, le persone sceglierebbero di non lavorare e si accontenterebbero di essere mantenuti?  

Il primo esperimento moderno risale al 1969 quando Richard Nixon mise in atto un programma di assistenza che prevedeva un reddito non condizionato di circa 800 dollari (attuali) per 8.500 cittadini. Il programma fu presto interrotto per l’opposizione di una parte della stessa amministrazione americana. Tuttavia si ebbe modo di verificare che il numero di ore lavorate scese del 9% principalmente in ragione del fatto che alcuni utilizzarono i soldi per studiare e altri per dedicare più ore alle cure parentali15.

Nel periodo 1974-1979 in Canada fu applicato un programma di assistenza, che prevedeva un reddito minimo garantito di 800 dollari mensili. Uno studio eseguito nel 2011 ha potuto verificare che quella esperienza comportò una riduzione di appena l’uno per cento delle ore lavorate ma fece salire il livello di scolarizzazione e ridusse il tasso di ospedalizzazione (le persone potevano più facilmente accedere alle cure)16.

Di recente, la più importante azienda di start-up della Silicon Valley, ha promosso un piano attraverso il quale sono stati forniti 1.000-2.000 dollari al mese a 100 famiglie di Oakland che avevano alcuni requisiti minimi di istruzione e abilità17. L’obiettivo era quello di verificare se i soldi elargiti fossero utilizzati o meno per mettere in piedi delle iniziative. Il progetto pilota è concluso ed i risultati devono essere stati incoraggiante se è vero che l’Azienda sta studiando la possibilità di ampliare la sperimentazione sotto forma di studio controllato randomizzato che, come in ambito scientifico, metta a confronto due gruppi simili di persone, uno sostenuto con il reddito di base e l’altro no, allo scopo di verificare gli effetti a distanza di tempo18.

Indubbiamente però l’esperienza maggiore e quella da cui si attendono risultati decisivi (in un senso o nell’altro), è quella finlandese19. Ma di cosa si tratta esattamente? Il governo finlandese ha varato un piano di assistenza che, a partire dal 1 Gennaio 2017,  garantisce un reddito incondizionato di 560 euro a 2.000 cittadini disoccupati estratti a sorte, i quali conserveranno il sostegno anche nel caso dovessero trovare lavoro. Naturalmente i beneficiari non avranno più i sussidi di disoccupazione o altre indennità previste dallo Stato sociale. Proprio il caso finlandese dimostra che le varie forme di reddito di base sono alternative ai tradizionali meccanismi di sostegno previsti dal Welfare state delle varie nazioni. Anche in Finlandia, come già negli USA con Nixon, l’iniziativa è promossa dal governo di centrodestra. L’esperimento durerà due anni, trascorsi i quali si valuteranno i risultati che, negli auspici, dovranno consistere in un aumento dell’occupazione.

Molte altre le esperienze in corso, perlopiù in comunità di piccole dimensioni (come Livorno in Italia). Pure decisiva risulterà l’esperienza del reddito di inclusione promosso dal governo italiano se solo verranno raccolte e analizzate le informazioni corrette.

In nessuna parte comunque è stato sinora sperimentato un vero reddito di base o di cittadinanza da assegnare a tutti i cittadini senza alcuna distinzione e senza nessuna condizione. Una proposta assimilabile ma non sovrapponibile era quella svizzera bocciata nel referendum del giugno 2016  dal 68% dei votanti. Prevedeva l’erogazione della differenza tra quanto guadagnato ed una soglia di 2.500 franchi (2.250 euro) mensili per gli adulti e 625 franchi (560 euro) per i giovani di età inferiore a 18 anni20. Il costo sarebbe stato comunque molto elevato e difficilmente sostenibile. Anche i fautori più convinti del reddito di cittadinanza ritengono che non si possa andare oltre il 15% del PIL nazionale (in Italia circa 300 euro a persona)21.


Conclusioni

Non si può non essere d’accordo con Michele Serra quando scrive: «Se il lavoro, ridotto all’osso dalla rivoluzione tecnologica, non sarà più in grado di garantire la sopravvivenza, il salario di cittadinanza (o comunque lo si voglia chiamare) presto o tardi diventerà una necessità. Così dicono in molti, compreso il neo-socialista Hamon che ha appena vinto il primo turno delle primarie in Francia; ed è molto probabile che abbiano ragione. Ma non è il vincolo tra lavoro e sopravvivenza, quello che sarà difficile sciogliere. È il vincolo tra lavoro e identità. Riuscite a immaginare un mondo nel quale la propria fisionomia individuale e sociale non sia anche il frutto di quello che si è capaci di fare? Io no. Sono cresciuto nel mito del “lavoro ben fatto” dell’operaio Faussone (Primo Levi, “La chiave a stella”). Il mito del mestiere, dello specifico talento professionale, della destrezza manuale e intellettuale con la quale si impara il governo delle cose. Una eventuale società di assistiti, nella quale il “lavoro ben fatto” diventa appannaggio di pochi privilegiati, non sarebbe forse una società di depressi, anche se con la pancia piena? È solo una domanda. Invidio chi riesce a immaginare un futuro migliore, con il ronzio dei robot onniscienti e onnifacenti che ci liberano da ogni fatica. Che noia, comunque»22.

Sotto il profilo teorico comunque è difficile ipotizzare un bilancio dei vantaggi e svantaggi di una misura positiva (l’introduzione del basic income) combinata con misure negative (l’abolizione di alcuni strumenti di sostegno dello Stato sociale). Un qualche chiarimento verrà certamente dalle sperimentazioni in atto.  Intanto bisogna rifiutare sdegnosamente l’uso strumentale del reddito di base che verrà fatto in campagna elettorale. E, da questo punto di vista, la stella polare è sempre una: perché una proposta possa essere considerata seria è necessario quantificarne i costi e indicare fonti certe di finanziamento e non clamorosi quanto immaginifici recuperi dall’evasione fiscale.


Bibliografia

  1. Riccardo Staglianò. Il vero basic income? E’ senza se e senza ma. Il Venerdì di Repubblica, 10 Marzo 2017, pp 19-20.
  2. Luca Ricolfi. Reddito di cittadinanza, mito e realtà. Il sole 24 ore, 27 Dicembre 2016.
  3. Andrea Daniele Signorelli.  Come funziona il reddito di cittadinanza? Storia e senso di una misura forse ormai inevitabile. Il Tascabile, 23 Febbraio 2017.
  4. Deloitte. From brawn to brains The impact of technology on jobs in the UK. 2015.
  5. Carl Benedikt Frey, Michael A. Osborne. The future of employment: how susceptible are jobs to computerisation? Technological Forecasting and Social Change, 114: 254-280, 2017.
  6.  Basic Income Network Italia.
  7. Il reddito di cittadinanza costerebbe circa 15 miliardi nel 2015. Internazionale, 11 Giugno 2015.
  8. Luca Ricolfi, cit.
  9. Gianluca Zapponini. Reddito di cittadinanza a 5 stelle, ecco numeri e incognite. Formiche.net, 10 Settembre 2015.
  10. I dettagli del Reddito di inclusione approvato dal Governo sono tratti  da La Repubblica del 30 Agosto 2017 alle pagine 2-3 e dal documento “ReI Reddito di inclusione” prodotto dallo stesso Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali.
  11. Andrea Daniele Signorelli, cit.
  12. Tommaso Moro. L’Utopia, 1516.
  13. Juan Luis Vivés. De subventione pauperum, 1531. Si veda la bella recensione dell’opera di Vives contenuta in: Mario Rosa, Marcello Verga. Storia dell’età moderna 1450-1815. Milano, Bruno Mondadori, 2000.
  14. Si veda: Thomas Paine. Agrarian justice. 1795.
  15. Rutger Bregman. Nixon’s basic income plan. Why Richard Nixon once advocated for basic income — and then turned against it. Jacobin Magazine, 5 maggio 2016.
  16. Evelyn Forget. The town with no poverty. The health effects of a canadian guaranteed annual income field esperiment. Canadian public policy 37, 2011.
  17. Jathan Sadowski. Why Silicon Valley is embracing universal basic income. The Guardian, 22 Giugno 2016.
  18. BIN Italia. USA: Y Combinator propone di ampliare la sperimentazione del reddito di base. Basic Income Network , 19 Dicembre 2017.
  19. Kela-Fpa. From idea to experiment. Report on universal basic income experiment in Finland. Working papers 106, 2016.
  20. Referendum su reddito minimo per tutti: la Svizzera dice no. La Repubblica, 5 Giugno 2016.
  21. Riccardo Staglianò, cit.
  22. Michele Serra. L’Amaca. La Repubblica , 27 Gennaio 2017.


CDL, 1 Febbraio 2018

 

 

 

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