Karl R. Popper, Neil McIntyre: The critical attitude in medicine: the need for a new ethics

 

 

Traduzione dell’articolo: Neil McIntyre, Karl Popper. The critical attitude in medicine: the need for a new ethics. British  Medical Journal 1983 ; 287: 1919-23.

Neil McIntyre, MD, FRCP, professor of medicine. Royal Free Hospital School of Medicine, London, NW3 2QG.

Sir Karl Popper, CH, PHD, FRS, philosopher. Penn, Buckinghamshire.

Nei McIntyre
Nei McIntyre

 

Karl R. Popper
Karl R. Popper

“Questi criteri di oggettività e di critica possono insegnargli (al singolo individuo) a verificare e a pensare ancora, a sfidare le proprie convinzioni e ad usare la propria creatività per tentare di capire se e dove le proprie conclusioni sono errate. Essi possono educarlo ad applicare il metodo del tentativo e dell’errore in ogni campo, soprattutto in quello scientifico, e quindi come imparare dai propri errori e come ricercare gli stessi. Questi criteri possono aiutarlo a scoprire quanto poco egli conosce ed il tanto che ancora non sa. Possono guidarlo nell’aumentare la propria conoscenza e ad avere consapevolezza della stessa propria crescita. Essi possono aiutarlo a prendere coscienza del fatto che si  è debitori della propria crescita alla critica degli altri e che la ragionevolezza consiste nella disponibilità ad accogliere le critiche”

Karl Popper, 1978


Gli errori si verificano in Medicina come in altri campi della vita. Le conseguenze possono essere trascurabili ma spesso risultano gravi e possono essere catastrofiche. Alcuni errori non si possono evitare; altri sono evitabili ed anche colpevoli. Si possono prendere provvedimenti per correggere gli errori ma in molti casi essi sono irreversibili ed il solo beneficio che se ne trae consiste nell’evitare ulteriori analoghi errori. Ci si attende che i medici profittino della propria esperienza e sin da quando sono studenti vengono esortati a trarre profitto dai propri errori. Ma imparare solo dai propri errori sarebbe un processo lento, doloroso e inutilmente costoso per i pazienti. E’ necessario che le singole esperienze vengano condivise cosicché i medici possano imparare anche dagli errori degli altri. Questo richiede la disponibilità ad ammettere i propri errori e quella a discutere i meccanismi che possono averlo provocato. Si richiede un atteggiamento critico verso il proprio operato e quello degli altri.

Purtroppo studenti e medici vedono pochi segni intorno a loro di una tale apertura mentale. Gorowitz and MacIntyre hanno scritto: “Nessun tipo di fallibilità è più importante e meno compresa che la fallibilità nella pratica medica. La possibilità che i medici compiano errori dannosi è diffusamente negata, forse perché fortemente temuta … Medici e chirurghi spesso si ritraggono persino dall’individuare l’errore nella pratica clinica, anche solo di prenderne atto, presumibilmente perché ritengono che esso nasca da ignoranza o trascuratezza propria o dei colleghi.” (1). Invece è necessario prendere atto degli errori e analizzarli allo scopo di comprendere perché si sono verificati e come potevano essere evitati.

Se occorre non ripetere gli errori, è importante che alcune abitudini mentali, profondamente radicate nella professione, siano superate. L’atteggiamento professionale è spesso condizionato dall’etica professionale, ovvero dall’insieme di principi con i quali concezioni ed azioni vengono giudicate giuste o sbagliate. Questi principi influiscono anche sull’etichetta professionale ovvero sulle regole di comportamento da adottare verso i colleghi e, cosa ancora più importante, nei confronti dei pazienti.

Le professioni colte sono fondate sulla conoscenza e sulla capacità. Non sorprende che l’etica di una professione sia fortemente condizionata dall’interpretazione della natura della conoscenza e dei metodi a mezzo dei quali essa è acquisita sia collettivamente che individualmente. Questi fattori dominarono il lungo dibattito e le discussioni che precedettero i Medical Acts del diciannovesimo secolo, i quali condussero al riconoscimento professionale formale dei medici immatricolati (2). L’etica professionale riflette anche le idee del tempo (3).

Le rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo hanno, comunque, implicazioni rilevanti per tutte le professioni. Esse rimettono in dubbio la ben consolidata concezione sulla crescita della conoscenza e sulla natura della scienza. Pongono in discussione le fondamenta stesse dell’etica professionale. Noi riteniamo che l’etica professionale tradizionale, basata su un’antica concezione della crescita della conoscenza, tenda ad impedire i progressi e la loro implementazione. Presentiamo delle proposte per una nuova etica professionale nella speranza che esse siano discusse e che il dibattito influenzi gli atteggiamenti e i comportamenti professionali.


Crescita della conoscenza: accumulazione o correzione?

La vecchia interpretazione del concetto di crescita della conoscenza, soprattutto di quella scientifica, è ancora ampiamente condiviso. In base ad essa, la conoscenza cresce per accumulazione: scopriamo ed accumuliamo sempre più dati di fatto. Naturalmente questa concezione non è del tutto erronea. La conoscenza aumenta frammentariamente per accumulazione ma in misura di gran lunga maggiore e più spesso essa cresce per mezzo del riconoscimento degli errori e del superamento di vecchie conoscenze e teorie sbagliate. Anche la scoperta di una nuova specie può tradursi nella correzione di ipotesi precedenti. Quello che noi abbiamo pensato essere un unico virus, può essere rappresentato da diversi virus (e viceversa).

L’ipotesi erronea può aver stabilito una rapporto causale inesistente: l’ostruzione catarrale delle vie biliari era ritenuta la causa dell’ittero epidemico, oggi attribuito all’epatite virale; un’osservazione erronea può condurre ad una leggenda anatomica, come quella relativa alla comunicazione diretta trai i due ventricoli del cuore.  Altre volte viene proposta una teoria complessiva eppure sbagliata come la teoria di Darwin sulla pangenesi. Noi riteniamo che le modificazioni di tali ipotesi, che possono avere implicazioni più o meno rivoluzionarie, siano più importanti e caratterizzanti che la scoperta di nuove realtà.

Ovviamente qualunque persona considerata come un’autorità scientifica può commettere un errore rilevante. Difetti possono aversi in una teoria scientifica accettata, anche in una particolarmente consolidata e sicura. E’ per questa ragione che quasi tutte le misurazioni chimiche furono riviste dopo la scoperta, nel 1931, dell’acqua pesante ad opera di Urey.

I grandi uomini di scienza sono ricercatori originali  che compiono scoperte che rivoluzionano la loro disciplina ma anch’essi compiono errori. Einstein, forse il pensatore più originale del nostro tempo, raccontò più volte alcuni dei suoi errori. Egli puntualizzò di aver impiegato 12 anni a scartare il positivismo di Mach. Secondo il suo amico Max Born, egli aderì, approssimativamente dal 1920 e sino alla sua morte nel 1955, ad un progetto di ricerca (sulla teoria unificata del campo) che era già stato superato nel 1936 con la teoria delle forze nucleari di Yukawa.

Non c’è certezza assoluta nella scienza. La conoscenza scientifica è congetturale, ipotetica. Di conseguenza non ci possono essere Autorità.

Quella che potremmo definire la “vecchia” etica professionale è basata sulla ricerca di una verità oggettiva di razionalità e responsabilità intellettuale. Ma la vecchia etica è costruita sulla concezione che la conoscenza scientifica possa essere certa,  che cresca normalmente per accumulazione e che possa essere acquisita e stratificata nella mente. Queste idee creano un ambiente favorevole all’emergere di Autorità. Essere un’Autorità diviene un ideale del vecchio professionismo.

Queste idee hanno conseguenze terribili. L’Autorità tende a diventare importante per suo proprio conto. Da un’Autorità ci si aspetta che non sbagli; se succede, i suoi errori tendono ad essere nascosti per difendere l’idea stessa di Autorità. Perciò la vecchia etica conduce alla disonestà intellettuale. Essa ci porta a nascondere i nostri errori e le conseguenze possono essere peggiori di quelle prodotte dallo stesso errore che si sta nascondendo.  Essa condiziona il nostro sistema educativo che incoraggia l’accumulo delle conoscenze e la sua esternazione al momento degli esami. Gli studenti sono puniti per i loro errori. Perciò essi nascondono l’ignoranza invece di rivelarla e questo complica, a loro e agli insegnati, la correzione delle insufficienze.

E’ questa situazione che ci conduce a proporre una “nuova” etica professionale. Le nostre proposte sono in discussione e possono essere riassunte in dieci tesi:

1)      La nostra attuale  conoscenza congetturale trascende di gran  lunga quello che una qualsiasi persona può arrivare a sapere anche nell’ambito della propria disciplina. Essa muta rapidamente e radicalmente ed in gran parte non per accumulazione ma per correzione di teorie ed idee sbagliate. Quindi non ci possono essere Autorità. Ci possono essere naturalmente scienziati migliori o peggiori. In genere lo scienziato migliore è quello più consapevole dei propri limiti.

2)      Noi tutti siamo fallibili ed è impossibile per  chiunque evitare tutti gli errori, anche quelli evitabili. La vecchia idea che noi dobbiamo evitare errori necessita di revisione. Essa è mistificatrice e ci ha condotti all’ipocrisia.

3)      Nonostante ciò, evitare  gli errori rimane un nostro  obiettivo. Ma per raggiungerlo dobbiamo riconoscere la difficoltà. del compito. E’ un obiettivo per il quale nessuno ottiene pienamente successo anche se si tratta di un grande e creativo scienziato guidato, ma più spesso mal consigliato,  dall’intuito.

4)      Errori possono celarsi nelle teorie più controllate. E’ uno dei compiti del professionista quello di ricercare questi errori. Allo scopo egli può essere notevolmente aiutato dalle proposte di nuove ed alternative teorie. Quindi noi dovremmo essere tolleranti nei confronti delle idee che contrastano con le teorie dominanti al momento e non aspettare che queste ultime si rivelino infondate. La dimostrazione che una teoria ben studiata e sperimentata, o una procedura comunemente usata, sia errata può essere una scoperta molto importante.

5)      Per queste ragioni il nostro atteggiamento verso l’errore deve cambiare. E’ da qui che la riforma etica deve partire. Per il fatto che la vecchia attitudine porta a nascondere i nostri errori e a dimenticarli il più in fretta possibile.

6)      Il nostro nuovo criterio guida deve essere quello di poter imparare dai nostri errori affinché sia possibile evitarli in futuro;  questo dovrebbe avere la priorità anche sull’acquisizione di nuove informazioni. Nascondere gli errori deve essere considerato peccato mortale. Alcuni errori vengono inevitabilmente a luce come quello di operare il paziente sbagliato o di rimuovere un arto sano. Sebbene il danno sia irreversibile, la pubblicizzazione di tali errori può portare all’adozione di procedure concepite per prevenirne di nuovi. Altri errori, alcuni dei quali possono essere altrettanto deplorevoli, non vengono così facilmente a luce. Ovviamente quelli che li commettono non desiderano che siano rivelati, ma altrettanto ovviamente essi non dovrebbero nasconderli poiché, dopo discussioni ed analisi, una modificazione della pratica possa evitare che si ripetano.

7)      E’ perciò un dovere quello di ricercare i propri errori e di studiarli compiutamente. Noi dobbiamo esercitarci all’autocritica.

8)      Dobbiamo ammettere che l’autocritica è migliore ma la critica di altri è necessaria e particolarmente preziosa se essi affrontano i problemi con un differente retroterra culturale. Dobbiamo perciò imparare ad accettare con favore, ed anche con gratitudine, la critica di coloro che richiamano la nostra attenzione sui nostri errori.

9)      Se siamo noi a richiamare l’attenzione degli altri sui loro errori, dobbiamo ricordarci degli errori simili che abbiamo commesso. Dovremmo rammentarci del fatto che sbagliare è umano e che anche i più grandi scienziati compiono errori.

10)  La critica razionale dovrebbe essere finalizzata a definire ed identificare chiaramente gli errori. Essa dovrebbe contenere le ragioni dell’errore e dovrebbe essere espressa in una forma che mette in conto la sua confutazione. Dovrebbe chiarire quali assunzioni vengono messe in discussione e perché. Non dovrebbe mai contenere insinuazioni, asserzioni gratuite o giudizi soltanto negativi. La critica dovrebbe essere ispirata dall’obiettivo di avvicinarsi alla verità e per questa ragione dovrebbe essere impersonale.

Noi poniamo in discussione queste dieci tesi nella speranza di dimostrare attraverso esse che anche nel campo dell’etica sia possibile avanzare proposte che possano essere razionalmente discusse e migliorate.

 

Implicazioni mediche della nuova etica professionale

I pazienti si aspettano di avere benefici dalla cure mediche. Essi consultano il medico per la sua capacità. Confidano nel fatto che egli applichi la sua conoscenza e capacità al meglio delle sue possibilità e danno per scontato che egli adotterà tutte le misure ragionevoli che garantiscano un risultato favorevole.

In quale misura sono giustificate le aspettative dei pazienti? Gli errori medici sono comuni (4). Alcuni errori sono innocenti ed inevitabili, altri sono colpevoli. A prescindere dal carattere dell’errore, è ovviamente precisa responsabilità del medico tentare di ridurre la probabilità di errore. Mentre i medici possono accettare questa responsabilità in linea di principio, al contrario c’è scarsa evidenza del fatto che essi impieghino molto tempo ad analizzare i loro errori commessi sia nella pratica clinica che nel corso della loro formazione. Per fare questo è necessaria una registrazione adeguata dei casi che consenta di identificare le cause e le conseguenze degli errori. Ma come hanno scritto Gorowitz e MacIntyre: “Non appartiene alla comune pratica clinica registrare gli errori medici e chirurgici compiutamente e sistematicamente. Ma senza dettagliate registrazioni di diagnosi e prognosi sbagliate, di effetti collaterali non previsti, di insuccessi terapeutici ed altro, noi non possiamo elaborare la base empirica necessaria ad alcuna adeguata teoria sui limiti delle capacità predittive dei medici.” (1).

E’ vero che pochi documenti clinici consentono di valutare il rapporto tra cure mediche e risultati. I documenti sono spesso illegibili, confusi, inaccurati, con frequenti omissioni.  Non solo nascondono la causa dell’errore, ma possono essi stessi essere fonte di errore in quanto informazioni vitali per la gestione del paziente sono perdute nella confusione. Dalla scarsa qualità delle annotazioni dei medici, si potrebbe dedurre una loro mancanza di interesse nella registrazione e valutazione della cura. I documenti dovrebbero essere migliorati se si vuole utilizzarli per analizzare i singoli casi. Senza buone registrazioni cliniche la verifica medica è virtualmente impossibile.


Evoluzione della verifica medica

Una raccolta formale di documenti e statistiche ospedaliere fu proposta da Percival nel suo “Medical Ethics” (3), da Florence Nightingale nel suo “Notes on Hospitals” (5) e da Groves in un articolo sul British Medical Journal del 1908 (6). Tutti quanti argomentavano che ciò avrebbe portato ad un miglioramento sistematico della sanità ospedaliera. I loro appelli si rivolsero ad orecchi sordi.

Nel 1910 Flexner pubblicò un violento attacco sul livello delle scuole mediche americane e degli ospedali (7). Questo portò a drastici cambiamenti nelle scuole mediche americane e stimolò il Congresso Clinico del Nord America ad annunciare programmi di riforma della sanità ospedaliera e della pratica chirurgica. Il Congresso fu influenzato da Codman che si era dimesso dal Massachusetts General Hospital per la sua insoddisfazione nei confronti dei livelli della gestione chirurgica (8). Codman fondò un suo ospedale e pubblicò un riassunto di tutti i casi ricoverati tra il 1912 ed il 1916 analizzando i risultati sfavorevoli. Egli sosteneva un approccio critico alla cura dei singoli pazienti argomentando che questo avrebbe favorito l’emergere di deficienze correggibili ed il miglioramento della qualità complessiva dell’assistenza medica.

Il pensiero di Codman era avanzato per il suo tempo (9).  Il suo ardore allarmò alcuni medici e nessun ospedale accolse pienamente la sua sfida ad analizzare e confrontare i casi come egli proponeva. Il Collegio Americano dei Chirurghi diede seguito all’opera di Codman e dei suoi collaboratori e introdusse un “programma di standardizzazione ospedaliera”. Ma esso fu limitato a cinque aspetti: organizzazione dello staff medico; qualificazione dei membri dello staff; regole e politiche per governare il lavoro professionale in ospedale; registrazioni cliniche; strutture di diagnosi e terapia. I risultati furono positivi. Tuttavia questo programma non prevedeva l’analisi dei risultati e l’identificazione degli errori evitabili, i due aspetti di cui Codman si era maggiormente occupato.

Sporadici ma infruttuosi tentatici furono messi in atto per promuovere la verifica medica nella cura dei pazienti nel corso degli anni ’20 e ’30. Dopo la seconda guerra mondiale questo interesse si riaccese e gli studi chirurgici ne costituirono la spinta (4, 10, 11).  Essi dimostrarono un’ampia variabilità nel rendimento dei diversi ospedali e dei diversi chirurghi all’interno dello stesso ospedale. Quel che più conta, si evidenziò che quando i chirurghi venivano informati dei risultati, il numero di interventi “non giustificati” si riduceva drammaticamente. Studi successivi, inerenti problemi medici come il diabete e la polmonite, mostrarono simile variabilità nelle prestazioni dei medici (11). Da allora sono stati presentati molti studi analoghi (4, 12) e nella maggior parte dei casi furono riscontrate inefficienze correggibili nelle cure mediche.

Pochi di questi studi  provarono a verificare se le prestazioni miglioravano a seguito dell’analisi dei risultati. Cosicché si è messo in discussione il fatto che la verifica medica abbia una qualche conseguenza pratica. Si è sostenuto che lo sforzo di identificare i difetti diverrebbe inutile se poi questi non possono essere corretti. Comunque quando una tale valutazione è stata fatta, è in genere risultato chiaro che le prestazioni mediche miglioravano (10, 11, 13-23). Quasi tutti questi studi hanno sottolineato l’importanza del giudizio critico e del feedback dell’informazione. L’importanza del feedback nella modificazione dei comportamenti non può essere messa in dubbio. E’ un processo biologico fondamentale e costituisce la base di tutto l’apprendimento, del “profittare dell’esperienza”, dello ”imparare dagli errori”.

 

Attitudine alla verifica medica e revisione critica tra pari

Sfortunatamente, ma comprensibilmente, molti medici sono contrari alla verifica medica. Essi si risentono all’idea che il loro lavoro debba essere sottoposto a revisione critica.. Come sosteneva Sir Douglas Black: “Vi sono forti pressioni pubbliche e parlamentari per tenere sotto controllo la pratica medica, sia da parte del Difensore Civico che in qualche altro modo. Alcuni membri della professione ritengono che tali pressioni debbano essere respinte, senza discussioni e senza compromessi, e che noi non dovremmo avere nulla a che fare con la verifica medica, il controllo di qualità o cose di questo genere (24).

 Vi sono molte ragioni per le quali i medici, individualmente e come categoria professionale, resistono all’idea della verifica e della revisione tra pari. I lavoratori, in quasi ogni campo, si indignano all’idea che la qualità del loro lavoro debba essere controllata. Una supervisione è normalmente accettata e spesso auspicata dalle persone in corso di formazione, ma gli esperti ed i primari hanno chiaramente terminato il loro il loro addestramento formale. Questo è interpretato come una garanzia del fatto che essi non solo sono capaci di lavorare senza supervisione ma anche di fare opera di supervisione nei confronti dei membri più giovani dello staff ospedaliero e di coloro  che stanno facendo pratica. I medici pratici hanno sempre goduto di una completa autonomia professionale. Proporre che il loro lavoro debba essere controllato sembra sottintendere che esso non sia completamente soddisfacente e che le loro prestazioni debbano essere migliorate. Se il problema è visto in quest’ottica, non sorprende che essi si risentano all’idea. Ma lo scopo della revisione critica tra pari è quello di migliorare la prestazione anche se il lavoro svolto è già di alto livello. I migliori giocatori di golf o suonatori di piano chiedono l’opinione degli altri allo scopo di mantenere i loro livelli qualitativi e gli scienziati migliori sono riconoscenti per le critiche dei colleghi. Si può pensare che la disponibilità ad accettare le critiche aumenti con la qualità del lavoratore e con il suo senso di autostima.

La riluttanza delle persone a far valutare il proprio lavoro è chiaramente legato alla riluttanza nel commentare ed a lamentarsi del lavoro altrui. La maggior parte delle persone “vive e lascia vivere”. Tale atteggiamento, noi ammettiamo, non è solo comprensibile ma anche di grande valore. Le relazioni sociali dipendono da questa concezione. Chi potrebbe scagliare la prima pietra? Chi infatti potrebbe veramente distinguere tra un errore commesso in buona fede ed una negligenza colpevole? Questa è la ragione per la quale noi riteniamo che gli sforzi finalizzati a migliorare le prestazioni debbano venire da coloro che hanno il desiderio dell’automiglioramento, un desiderio basato su una concezione essenzialmente etica. La verifica medica non deve essere uno strumento disciplinare ma un mezzo per l’apprendimento attraverso il meccanismo del feedback.

Quando le cose vanno male i medici, ben lungi dall’aspettarsi critiche, si rivolgono ai colleghi per avere rassicurazione e conforto. Come sottolineato da Friedson, la reazione normale agli eventi incresciosi è orientata a non avvertire riprovazione (25); avendo dato il meglio di se stessi, non ci si può sentire responsabili di eventi incresciosi. Anche quando l’errore viene riconosciuto, si tende a scusarlo in qualche modo. Esso è spesso esternato allo scopo di ottenere rassicurazione da colleghi benevoli. Nell’ammettere l’errore di fronte ad amici che certamente non criticheranno, si ottiene il beneficio catartico della confessione evitando al contempo il prezzo della pena. L’autocritica è pertanto accettabile, la critica avanzata da altri non lo è e coloro che la sostengono sono visti alla stregua di persone invadenti ed inopportune.

 

Centralità della relazione medico-paziente

Due altri aspetti peculiari della medicina, ambedue di grande importanza, condizionano l’atteggiamento dei medici nei confronti della revisione critica tra pari. Il primo risiede nel carattere del loro lavoro; il secondo è rappresentato dalla natura stessa del rapporto medico-paziente.

Quando un paziente domanda aiuto, il medico vuole rispondere. Egli può compiere azioni fini a se stesse, forse pensando all’effetto placebo, nella convinzione che fare qualcosa è sempre meglio che non fare nulla. Ciascun medico si assume la responsabilità del modo con il quale gestisce i suoi pazienti e lo fa sulla base della propria esperienza clinica. Eppure questa è inevitabilmente aneddotica e costituisce una mitologia basata su casi singoli e cose sentite dire. I medici raramente osservano il lavoro dei colleghi; essi si affidano piuttosto ad un proprio approccio e alle proprie capacità, cosicché il loro lavoro tende ad essere autovalidante ed autconfermante (25). E’ difficoltoso vedere  criticamente il proprio lavoro perché il medico ha bisogno di credere a quello che sta facendo allo scopo di continuare a praticare la medicina. Questi fattori favoriscono la responsabilità individuale piuttosto che quella collettiva. Essi esasperano l’importanza delle opinioni più soggettive e costituiscono motivo di forte resistenza a rivedere il proprio modo di operare anche quando contestato da altri. Questi fattori incoraggiano quello che può essere definito “relativismo” della pratica clinica (vedi dopo).

Per ciò che riguarda il secondo aspetto, molti medici ritengono che la verifica medica e la revisione critica tra pari minaccia la relazione medico-paziente. Questa relazione è basata sulle riconosciute capacità del medico ma anche sui timori che questi ha nei suoi confronti. La sua Autorità potrebbe crollare dovessero i pazienti percepire i suoi errori.

La critica da parte dei pazienti è relativamente infrequente. I pazienti non solo sono raramente consapevoli di fatti rilevanti ma tendono anche a fidarsi del loro medico, devono mantenerne il favore e temono che una controversia possa inasprire ulteriori rapporti con la categoria medica. I pazienti possono non sapere come trovare un medico migliore.

I medici pure temono le controversie, specie quelle che potrebbero degenerare in una vera e propria vertenza legale. Quindi non sorprende affatto che un medico tenti di nascondere il proprio errore e che gli altri medici facciano muro attorno al collega che sbaglia.

Ci si potrebbe aspettare che i medici siano meno preoccupati della critica quando questa si svolge entro una ristretta cerchia professionale. Ma anche questo non è affatto ben accetto. Alcuni medici sostengono correttamente che la fiducia dei pazienti nei confronti del loro medico abbia una sua importanza terapeutica e che questa ne risulterebbe danneggiata se i pazienti avvertissero che gli errori sono relativamente comuni. Dal punto di vista dei pazienti, una regolare revisione critica tra pari potrebbe significare che l’abilità del medico era limitata e che la loro fiducia nei suoi confronti era stata malriposta. Il pubblico potrebbe avere un atteggiamento più “realistico” verso i medici e mentre questo potrebbe essere auspicabile da molti punti di vista al contempo ridurrebbe il valore terapeutico insito nella relazione medico-paziente. Inoltre il fatto che le carenze nella cura dei singoli pazienti vengano esternate, sebbene in privato, determina la preoccupazione da parte dei medici che queste informazioni siano poi rese disponibili quando dovesse nascere un’eventuale disputa legale.

Tutti questi argomenti meritano considerazione. La revisione critica tra pari dovrebbe essere contrastata se mettesse a rischio la relazione medico-paziente senza offrire benefici sostanziali. Tuttavia noi riteniamo che i pazienti dovrebbero accogliere con favore gli sforzi finalizzati al miglioramento delle prestazione cliniche  e dovrebbero avere buone ragioni di risentimento se venissero a sapere che i medici rinunciano alla possibilità di migliorare il loro lavoro. I pazienti in fin dei conti sanno che gli errori esistono. E la relazione medico-paziente dovrebbe dipendere saldamente dalla fiducia reciproca piuttosto che dalla mistificazione. Essa potrebbe addirittura migliorare se i pazienti sapessero che i medici collaborano con un reciproco atteggiamento di critica costruttiva.

E’ di immediata comprensione che la medicina debba essere aperta e resa responsabile. C’è ormai ampia evidenza delle “pressioni pubbliche e parlamentari volte a porre la pratica medica sotto più stretto controllo”, come detto da Sir Douglas Black (24). Per molte ragioni riteniamo che sia la professione medica che le persone siano meglio garantite se una tale sorveglianza fosse promossa dai medici e non da interventi esterni. Il processo richiede la piena collaborazione dei professionisti e fallirebbe se fosse visto in un contesto ostile. E’ un dovere esplicito della professione conservare e mettere un giusto ordine nella propria casa e solo i suoi membri hanno una conoscenza adatta per riuscirvi. Gli argomenti sono abitualmente delicati ed una discussione franca dovrebbe essere evitata in presenza di profani. La revisione critica dovrebbe essere eseguita regolarmente nel contesto della pratica clinica quotidiana e questo escluderebbe meccanismi che implicano una gestione farraginosa. Possono risultare utili diversi tipi di verifica: esperienza e tentativi sono necessari per stabilire quale metodo risulti migliore nelle diverse circostanze.

 

Contrapposizione tra relativismo e spirito aperto

Nella pratica clinica molti argomenti sono nebulosi e spesse volte non si trova una chiara soluzione ad un problema medico. Questo rafforza un approccio relativistico ovvero la concezione che la verità è relativa, che non esistono parametri oggettivi, che i metri di giudizio variano da persona a persona e da gruppo a gruppo. Come detto in precedenza, il relativismo è anche favorito dall’indipendenza professionale del medico. Egli crede nel proprio approccio e sottolinea la responsabilità individuale piuttosto che quella collettiva. Ma per molti problemi può già essere stato validato un protocollo migliore emerso dall’esperienza cumulativa di colleghi o da studi clinici accuratamente controllati. Quando è così, il relativismo ha poca difesa.

Contrastare e rifiutare il relativismo in medicina (come in altri campi) è questione importante. Noi tutti siamo fallibili e quindi dovremmo dubitare di ciò che ci appare vero e dovremmo mettere in discussione anche tutti quei principi etici e morali che pure ci sono particolarmente cari. Ma nel discuterli dovremmo ricercarne di migliori. La verità può essere difficile da raggiungere, ma dobbiamo riconoscere che ammettendo gli errori ci avviciniamo sempre più ad essa e siamo in grado di prevenire ulteriori errori. Come tutte le forme di conoscenza ed abilità,  anche quelle dei medici migliorano se gli errori vengono identificati e se tale informazione ritorna e quindi non dobbiamo mai desistere dalla ricerca critica della verità. Dobbiamo avere uno spirito aperto e tentare sempre di imparare da coloro che hanno diversi punti di vista. Esattamente per queste ragioni dobbiamo rifiutare il relativismo. E’ facile dire “Tu puoi avere ragione ed io posso essere in torto”. Se entrambe gli interlocutori sostengono questa tesi, ne deriva una mutua tolleranza. Ma per evitare il relativismo dobbiamo andare oltre ed aggiungere “ma tutti e due possiamo avere torto; discutendo razionalmente delle cose, noi possiamo correggere alcuni dei nostri errori e forse ciascuno di noi si avvicinerà alla verità e agirà meglio”.


La licenza di concedere licenze

Abbiamo offerto diverse spiegazioni dell’ostilità di molti medici verso la critica e a vedere il loro lavoro sottoposto ad una revisione. Riteniamo che essi siano vincolati alle vecchia etica professionale discussa in precedenza e alla vecchia idea dell’Autorità che conosce il proprio argomento e non commette errori. L’opportunità di discutere questi argomenti in medicina sembra evidente. Tutti i medici fanno derivare la “Autorità” dalle loro capacità e conoscenze e queste sono riconosciute dall’atto di conseguimento dell’idoneità professionale e dall’iscrizione all’albo. All’interno della professione si istituisce anche una gerarchia di “Autorità” basata sull’ulteriore acquisizione di conoscenze e capacità specialistiche. L’Autorità si oppone alla critica. E chiaramente, nel caso le prestazioni mediche vengano giudicate inferiori alle attese, i medici soffrirebbero di senso di vergogna e riduzione dell’autostima. Questa è un’importante ragione del perché gli errori vengono mascherati e solo pochi medici sembrano auspicare che i loro errori non vengano nascosti.

Alla professione medica era stato garantito l’effettivo monopolio del diritto alla pratica clinica nell’assunto che essa potesse essere responsabile del livello qualitativo dei suoi membri. “La responsabilità professionale quindi non può essere limitata alla questione della competenza delle singole persone ma investe anche il problema della competenza dell’associazione. Il diritto di giudicare i colleghi comporta il dovere di farlo, altrimenti i medici finiscono per usufruire di un monopolio sancito dalla Stato senza che si abbia un rafforzamento del livello qualitativo la cui necessità da sola giustifica il monopolio stesso. La licenza alla pratica clinica è basata su una precedente licenza di concedere licenze. Se la licenza di praticare comporta il dovere di praticare bene, la licenza di concedere licenze comporta il dovere di giudicare e controllare bene” (25). Questa responsabilità è stata trascurata. Friedson, May e Kennedy sono fortemente critici dell’inefficienza dei medici a regolare e migliorare il livello qualitativo professionale ed un osservatore profano cinico sarebbe scusato se pensasse che l’accondiscendenza dei medici verso i loro colleghi sia espressione di mero interesse corporativo.

Attualmente l’educazione del medico concede poco spazio agli aspetti etici, sia nella fase pre-laurea che in quella post-laurea. Molti medici identificano il significato di “etica medica” con quello di etichetta medica. Questo pregiudizio sulle relazioni interprofessionali preoccupa gli osservatori profani. I recenti pubblici dibattiti sulla morte cerebrale, sull’eutanasia e sulla gestione dei bambini malformati hanno chiaramente evidenziato una diffusa insoddisfazione per il modo con il quale i medici vengono preparati ad accettare le responsabilità morali. Alcuni problemi etici possono essere di competenza specialistica ma il problema di migliorare la cura del paziente riguarda tutti i medici. I problemi etici inerenti la pratica clinica in linea generale meritano almeno la stessa attenzione dedicata a problemi in qualche modo specialistici come l’aborto o l’eutanasia.


Un nuovo codice di comportamento

ùNell’opera di vigilanza sulle cure mediche la tolleranza è essenziale e dalla ricerca degli errori dovrebbero essere bandite sia la denigrazione degli altri che qualsiasi forma di condanna al termine della revisione critica. Denigrazione e condanna sarebbero moralmente sbagliate ed impedirebbero ai medici di prendere parte al processo di revisione critica. Lo scopo deve essere pedagogico, pratico e centrato sul miglioramento di tutti i medici e non sulla punizione di quelli che sbagliano. Solamente con questo codice di comportamento noi possiamo riuscire ad instaurare un nuovo clima di fiducia: la critica reciproca non è un fatto personale e spregevole ma scaturisce da un mutuo rispetto e dall’auspicio di migliorare la sorte dei pazienti. Se viene accettato questo punto di vista, ne discendono naturalmente alcune conseguenze. Diviene importante non solo l’ammissione degli errori ma anche la loro ricerca al fine di correggerli il più rapidamente possibile. Dei nostri errori dovremmo trarre profitto non solo noi ma in egual misura anche gli altri. Quando gli errori sono dovuti ad incapacità tenteremo, si spera, di migliorare la nostra capacità; e quando, come talora accade in medicina, sono dovuti a negligenza o all’insufficienza nel fare ciò che sappiamo si dovrebbe fare, allora cercheremo il modo di migliorare il nostro comportamento.

Le nostre idee non sono così rivoluzionarie come sembra. Una tradizione simile a quella che la professione medica dovrebbe emulare esiste già tra i grandi artisti, i grandi scienziati, i musicisti. Intorno all’anno 1513 Durer scrisse: “Eppure io dovrò rendere pubblico il poco che ho imparato affinché qualcuno più di me possa avvicinarsi alla verità ed il suo lavoro migliorare e biasimare il mio errore. Per costui io mi rallegrerò di essere stato uno strumento a mezzo del quale una verità è venuta a luce” (28). Questo spirito sopravvive ed è necessario incoraggiarlo non solo tra artisti e scienziati ma anche tra i medici e in tutti coloro che operano in altre discipline.

 

Siamo grati agli amici e ai colleghi che hanno letto e valutato le diverse bozze di questo lavoro

 

Bibliografia

  1. Gorowitz S, MacIntyre A. Toward a theory of medical fallibility. J. Med. Philos. 1976; 1: 51-71.
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  5. Nightingale F. Notes on hospitals. 3rd ed. London: Longman, 1863.
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(Accettato il 24 marzo 1983)

 

Ultima revisione della traduzione 30/08/2001

 

 

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