Un mondo tripolare ma non troppo

 

 

 …La fine della guerra fredda ha rimesso in moto conflitti che in varie parti del mondo erano rimasti congelati (sunniti vs sciti, indipendentisti vs unionisti, nazionalisti vs europeisti, russofoni vs autoctoni, ecc.). A questo si aggiunga la precarietà delle alleanze, oggi più di ieri, basate sull’interesse economico e svincolate da qualsiasi ideale che possa cementare il senso di appartenenza…

Il mondo è tornato ad essere nuovamente tripolare quando la Russia di Putin si è sottratta all’abbraccio occidentale ed ha ripreso a giocare in proprio. Nel frattempo la Cina aveva avuto uno sviluppo economico prorompente e poteva confrontarsi con gli Stati Uniti a tutto campo e non solo sul piano militare. Sull’argomento, usualmente non trattato, L’Espresso ha di recente pubblicato quattro articoli molto interessanti1,,2,3,4. Nel primo Bernard Guetta compie un’analisi complessiva ed articolata della situazione attuale. Negli altri tre viene descritta la politica dei tre leader attuali: Donald Trump, Vladimir Putin, Xi Jinping. Questi articoli hanno rappresentato la base sulla quale è stato tratto, molto liberamente, il testo presentato.

Figura 1
Figura 1

La sfere di influenza dei tre protagonisti assoluti, Stati Uniti, Cina e Russia, si sono modificate sostanzialmente negli ultimi anni (Figura 1). A complicare la situazione intervengono diversi fattori:
–  La presenza di potenze regionali. Alcune potenze regionali, segnatamente l’Iran, l’India ed il Sud Africa, hanno un proprio spazio di influenza e non afferiscano a nessuno dei tre campi principali. L’India controlla un proprio spazio geopolitico costituito dai paesi limitrofi (Nepal, Buthan, Bangladesh, Sri Lanka) che volenti o nolenti sono costretti a tener conto degli interessi indiani. Si tratta comunque di Paesi sui quali la Cina sta lavorando alacremente offrendo investimenti e collaborazioni. L’Iran pure esercita la sua influenza decisiva su altri Paesi: Libano, Siria, Gaza, una parte dell’Iraq. Il Sud Africa predomina in Africa meridionale su un congruo numero di Paesi satelliti.
– La precarietà delle appartenenze. Oggi predomina una grande precarietà rispetto ad un passato caratterizzato dalla solidità delle alleanze militari ma anche di quelle politiche, ispirate da visioni radicalmente opposte del mondo. Così oggi la Turchia fa ancora parte della Nato ma  ha di recente stabilito un’alleanza strategica con la Russia perché ormai la sua struttura politica ed istituzionale è più vicina a quelle delle autocrazie che non a quella delle democrazie liberali. Formalmente dunque la Turchia appartiene ancora al campo occidentale ma nella realtà va già collocandosi in una terra di mezzo. Nel campo russo un discorso analogo può essere fatto per il Vietnam che rimane formalmente alleato di Mosca e conserva ancora una forte carica anti-cinese ma già da tempo ha stabilito relazioni politiche ed economiche con gli Usa apprestandosi a divenire una piccola potenza regionale con un proprio spazio di influenza (su Laos e Cambogia). Anche nel caso di Vietnam e Russia sembra essere venuta meno la comune visone del mondo da cui scaturiva l’alleanza militare. Ma potrebbero essere fatti numerosi altri esempi di appartenenze lasse: il Pakistan sospeso tra Usa e Cina, l’India che si è ormai emancipata dalla tutela russa, l’America latina che subisce con sempre maggiore insofferenza il predominio statunitense.
– Aleatorietà dei confini. Le zone di influenza possono non seguire i confini nazionali internazionalmente riconosciuti. Ad esempio la Russia estende la sua influenza ad una parte dell’Ucraina che va oltre la annessa Crimea e ad almeno una parte della Moldavia  (la Transnistria) e della Georgia che pure complessivamente si può considerare appartenente al campo occidentale. Analogamente l’Iraq, formalmente unito, è in realtà soggetto al predominio iraniano ed americano.

Figura 2
Figura 2

Sebbene dunque lo schema tripolare non sia onnicomprensivo e nemmeno così definito, rimane il fatto che gli attori principali sulla scena mondiale rimangono Stati Uniti, Cina e Russia.

Cina
Allo stato attuale presenta una maggiore dinamicità rispetto agli altri due competitor per via di una crescita economica enormemente superiore che consente ad essa una politica espansiva sulla scena mondiale. Questo spiega il forte insediamento in Africa dove la maggior parte dei Paesi versa in uno stato di indigenza che rende prezioso l’intervento cinese. Ma la natura prevalentemente economica della strategia rende questa meno efficace in Asia. Proprio nel suo continente la Cina soffre un sostanziale isolamento non potendo utilizzare la leva del sostegno economico nei confronti di Paesi già molto sviluppati e comunque non indigenti come Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Filippine. Inoltre la leva economica funziona sin tanto che la crescita del PIL rimane sostenuta e consente la distribuzione di prebende e benefici alla popolazione. Ma, secondo alcuni analisti, se dovesse scendere sotto il 5%, il sistema del credito cinese fallirebbe e si innescherebbe una crisi economica spaventosa dai risvolti sociali drammatici. In ogni caso la Cina non avrà vinta la sua partita se prima non riesce a dominare i commerci in gran parte del mondo. Data la superiorità americana sui mari, l’idea è quella di legare l’Eurasia, dall’Estremo oriente all’Europa occidentale, attraverso una nuova via della seta ovvero un mega-progetto infrastrutturale costituito da porti, aeroporti, ferrovie, strade. Tutto questo comunque è ancora di là da venire  e chissà se produrrà veramente la supremazia cinese nel commercio mondiale.

Stati Uniti
Gli Usa hanno tuttora una leadership legata alla grande capacità di infiltrazione nel campo avverso. Si è visto che la Cina è, paradossalmente, poco influente in Asia dove invece gli Stati Uniti contano su numerosi alleati importanti sotto il profilo geopolitico (Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Indonesia). La Russia soffre il fatto che l’influenza americana arrivi sino ai suoi confini europei avendo acquisito al proprio campo nazioni di straordinaria rilevanza geopolitica (quasi tutti i Paesi dell’ex patto di Varsavia). Certamente anche gli Usa hanno, sul proprio continente, alcune spine nel fianco (Cuba, Venezuela, Bolivia) ma nessuna di esse sembra poter rappresentare una minaccia reale. Al contrario le nazioni asiatiche filo-americane sono competitor importanti per la Cina sotto il profilo economico (Giappone, Corea del Sud) o geo-politico (Taiwan, Filippine, Indonesia). Analogamente i Paesi dell’est europeo divenuti alleati dell’Occidente risultano fortemente competitivi per la Russia anche in questo caso sotto il duplice punto di vista economico e geo-politico. Tuttavia, al contrario della Cina, gli Usa sembrano aver raggiunto la massima capacità di investimento economico sullo scacchiere internazionale. La crisi economica del 2008, ancora oggi in parte operante, ha drasticamente ridotto le possibilità di finanziamento di Paesi stranieri, fatto che oltretutto non sarebbe tollerato dall’area sociale costituita da tutte quelle famiglie americane che si sono impoverite. Infine, con Trump la politica americana deve scontare un grave handicap. Le accuse di collusione con Putin nel corso della campagna elettorale, impediscono a Trump di stringere un’alleanza con la Russia in funzione anticinese. Anzi, probabilmente in contrasto con i desiderata iniziali, gli Usa hanno dovuto in qualche modo accordarsi con il competitor più forte, la Cina, che a differenza della Russia veramente minaccia il primato economico americano. Senza ottenere molto in cambio se  è vero che la Corea del Nord sinora si è bellamente fatta beffe degli Usa (vedremo se nel prossimo futuro lo scenario muterà realmente).

Russia
In Europa la Russia può contare solo sulla Bielorussia, una parte dell’Ucraina compresa la Crimea, una parte della Moldavia (la Transnistria). In Asia confina addirittura con la Cina con la quale si deve contendere lo spazio vitale dei territori limitrofi. Inoltre sul piano economico ha possibilità neanche lontanamente paragonabili a quelle di Usa e Cina. La sua competizione, come si è visto in Siria, è prevalentemente militare ma non può esportare nessun modello né è in condizioni di sostenere economicamente un numero consistente di Paesi satelliti. Come dice Bernard Guetta, può giocare a fare la grande potenza ma non può tornare ad esserlo veramente. Il suo obiettivo sembrerebbe quello di mettersi alla testa di una internazionale di Paesi autocratici (Turchia, Iran, Siria ed altri) che, per la loro stessa natura, in assenza di incentivi economici importanti, sarebbe poi difficile tenere insieme ed incanalare in una politica comune.

Conclusioni
La fine della guerra fredda ha rimesso in moto conflitti che in varie parti del mondo erano rimasti congelati (sunniti vs sciti, indipendentisti vs unionisti, nazionalisti vs europeisti, russofoni vs autoctoni, ecc.). A questo si aggiunga la precarietà delle alleanze, oggi più di ieri, basate sull’interesse economico e svincolate da qualsiasi ideale che possa cementare il senso di appartenenza. Non a caso alcuni analisti parlano di ritorno degli Stati-Nazione5 comunque da inquadrare all’interno di un generico tripolarismo. In questo contesto gli Stati Uniti appaiono ancora come la potenza egemone ma, rispetto a ieri e in particolare con l’avvento di Trump, meno inclusiva nei confronti dell’Europa che rischia di essere ulteriormente marginalizzata. E allora la domanda, decisiva per il nostro futuro di italiani, è: può l’Europa giocare ancora un qualche ruolo? O siamo destinati a diventare possedimento di una qualche potenza?

Nota alla Figura 1
In grigio i Paesi che non afferiscono ad uno dei tre campi principali: le potenze regionali e le nazioni alleate ma anche gli Stati falliti come Somalia, Eritrea, Burundi, Libia. Le sfere di influenza rappresentate nella cartina sono tratte perlopiù dall’immagine posta a corredo dell’articolo di Bernard Guetta, citato in bibliografia, e da un report dell’OCSE del 2010 relativo agli investimenti infrastrutturali della Cina in Africa6. In Africa stati considerati sotto influenza cinese i Paesi nei quali maggiori sono stati gli investimenti effettuati da Pechino: Sierra Leone, Guinea, Togo, Nigeria, Sudan, Gibuti, Etiopia, Gabon, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Angola, Zimbawe, Tanzania, Malawi, Zambia, Mozambico, Madascar.

Bibliografia
1. Bernard Guetta. La nuova spartizione. L’Espresso, n° 49, 3 Dicembre 2017, pp 26-30.
2. Dario Fabbri. Nonostante Trump. L’Espresso, n° 49, 3 Dicembre 2017, pp 33-34.
3. Orietta Moscatelli. Lo zar del deserto. L’Espresso, n° 49, 3 Dicembre 2017, pp 35-37.
4. Federica Bianchi. Jinping il visionario. L’Espresso, n° 49, 3 Dicembre 2017, pp 38-40.
5. Una discussione su questo argomento è riportata in: Democrazia Pura. Il ritorno degli Stati-Nazione, 1 Gennaio 2018.
6. Martyn Davies, OECD. How China is influencing Africa’s development. April 2010.

CDL, 1 Aprile 2018

 

 

 

 

 

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