Il successo del populismo dalla retrotopia alla crisi dello Stato sociale

 

 

Il passato mitologico

Uno degli elementi caratterizzanti il neo-populismo di destra è quella che Zygmund Bauman definisce retrotopia o utopia retroattiva1. Essa consiste nell’affermazione di un passato di grandezza, una mitica età dell’oro, sulla quale viene costruito un orizzonte retroattivo.

In effetti i partiti neo-populisti si sono imposti indicando soluzioni che perlopiù evocano un tempo trascorso che viene descritto con connotazioni francamente mitologiche. Trump ha vinto le elezioni certo non proponendo un nuovo “new deal” ma anzi affascinando l’elettorato attraverso la celebrazione insistita di un glorioso passato, quello degli States dominatori incontrastati del mondo. Ma anche in Europa il neo-populismo di destra ricorre sistematicamente alle suggestioni delle grandezze trascorse per alimentare l’ossessione identitaria ed affermare un primato storico. Certo, in Italia si arriva all’assurdo di mitizzare eventi e fatti che non hanno nulla di epico senza alcun timore di scadere nel ridicolo. E così il triste periodo delle svalutazioni ricorrenti della lira, nella narrazione anti-euro, viene rimpianto come un’epopea gloriosa che si è chiusa solo per la congiura di un’Europa ostile allo strabiliante sviluppo italiano. Per non parlare del mito della italianità che fa riferimento implicito ad una purezza etnica che non abbiamo mai avuto. Ed anche in questo caso si tratta di combattere contro una forza sovrastante (Soros) il cui obiettivo è la sostituzione etnica2, una delle invenzioni più miserabili del complottismo mondiale3.

 

Il messia e il nemico

Perché un’altra delle caratteristiche del neo-populismo, che scaturisce in qualche modo dalla concezione retrotopica, è l’ossessione del nemico esterno che complotta contro la felicità del popolo (o della nazione). Si riporta la definizione di populismi già esposta in altra sede:
«Due sembrano essere gli aspetti patognomonici del populismo:
1 – La concezione sacrale del popolo con investitura diretta e messianica del capo, da cui scaturiscono il plebiscitarismo ed il liderismo nonché la scarsa attenzione verso gli istituti della democrazia rappresentativa. L’investitura messianica conferisce un carattere sacro allo stesso leader che quindi non esprime proprie convinzioni ma diventa portatore di verità e, soprattutto, post-verità.
2 – L’attribuzione dei problemi interni del Paese a nemici esterni, ragione principale del velleitarismo delle soluzioni. Dalla combinazione di questo secondo elemento con il primo discende che il dissenso interno diventa devianza e complicità con forze esterne ostili»
4.

 Il leader populista è depositario di un sogno che può essere reazionario o progressista. Quando l’utopia (futura) volge alla retrotopia (mitologia del passato), allora diventa di destra. Sul successo mondiale del neo-populismo di destra pesano indubbiamente ragioni economiche e sociologiche. In una analisi precedente si concludeva:
«I ceti medi e quelli popolari, impoveriti dalla crisi, scossi dal terrorismo, spaventati dalla migrazione, insofferenti verso i poteri economico-finanziari, finiscono per chiedere rappresentanza al neopopulismo di destra, il quale non offre una soluzione ma promette il ripristino di un passato mitico, quello che nel linguaggio della filosofia politica è la retrotopia o utopia retroattiva»5.

Tuttavia vi sono anche ulteriori ragioni psicologiche. La retrotopia afferma un’identità collettiva e quindi costituisce una garanzia di appartenenza. L’utopia futura promette ma non assicura l’identità collettiva. La retrotopia dà sicurezza, l’utopia incertezza. Ma come nasce la retrotopia?

In questa sede, senza pretendere di esaurire tutti i molteplici e complessi aspetti del neo-populismo, si è ritenuto di discuterne due. Appunto la retrotopia, nella concezione del suo “inventore” Zygmunt Bauman, e la crisi dello Stato sociale che ne costituisce un aspetto eziologico.

 

La genesi della retrotopia

Per illustrare la sua teoria Bauman parte da un dipinto di Paul Klee, l’Angelus Novus (Figura 1), che per Walter Benjamin rappresentava l’angelo della storia il cui sguardo era rivolto agli orrori del passato ma che una tempesta di vento sospingeva inesorabilmente verso un futuro di progresso. Ma da allora è trascorso quasi un secolo e la storia ha invertito la rotta. E quell’angelo, secondo Bauman, ora guarda inorridito il futuro e viene respinto irresistibilmente verso il passato. Perché oggi a dominare è una “nostalgia” che alimenta il risveglio dei sentimenti nazionalistici e attraverso la quale si recuperano simboli e miti del passato da sottoporre ad una celebrazione epica in chiave decisamente anti-moderna. Insomma il pendolo della storia è cambiato e dalla smania del progresso ha virato verso un “epidemia globale di nostalgia”. La ricerca di una felicità futura, la realizzazione del Cielo sulla Terra che Tommaso Moro chiamava utopia, si è rovesciata in una visione ancorata ad un passato perduto eppure ancora vivo e tutto da riscoprire. Il futuro oggi appare incerto, gravido di incognite e popolato da incubi, in particolare quello di non riuscire a mantenere un adeguato livello di vita per sé e per i propri figli. A fronte di questo il passato, mitizzato, appare rassicurante, stabile, affidabile. L’esempio tipico è la parabola della fiducia nella Unione Europea sino a non molto tempo fa molto elevata e che è scemata rapidamente con l’avvento della crisi economica del 2008. Ma i movimenti populisti e nazionalisti che ne hanno maggiormente beneficiato sbagliano terapia (protezionismo e ritorno alle monete nazionali) perché, sostiene Bauman, sbagliano diagnosi: la UE può essere criticata per come ha gestito la crisi economica ma  non ne è la causa.

Figura 1. Paul Klee, Angelus Novus, 1920, 31,8 x 24,2 cm. Immagine tratta dal sito Fucinemute.

Per capire come l’utopia lavora sulla retrotopia si pensi a quanto accaduto con la rivoluzione francese. Fu certamente l’ancien régime a produrre la rivoluzione ma, nel contempo, fu la rivoluzione a studiare i caratteri e quindi a definire e in qualche modo a dare dignità storica all’ancien régime.  Il passato della retrotopia è sempre necessariamente rielaborato con gli strumenti dell’oggi e quindi mitizzato a fronte della grave crisi in corso. Per Bauman la retrotopia è solo una fase della storia dell’utopia che si nutre di diversi affluenti definiti come “ritorno a Hobbes”, “ritorno alle tribù”, “”ritorno alla disuguaglianza”, “ritorno al grembo materno”. Bauman spiega come la globalizzazione, determinando la traslazione del potere dal livello economico a quello finanziario e la separazione tra potere e politica, abbia condizionato la fine dello Stato Leviatano. La conseguente atomizzazione della società pone ciascun individuo contro l’altro senza che lo Stato riesca più ad incanalare la violenza dei rapporti in forme istituzionali regolate. Un ritorno ad Hobbes, ma senza più la funzione dello Stato.

L’assenza di un potere statuale in grado di sterilizzare la violenza dei rapporti interpersonali e la conseguente solitudine dell’individuo lo spinge a riorganizzarsi sotto forma di tribù alla quale appartenere per mutua difesa. L’aspetto tipico della tribù è che è governata da un principio di differenza: il noi contro il loro.

Un ulteriore fattore che contribuisce a determinare la frammentazione sociale è la crescente disuguaglianza, non solo economica ma anche in termini di accesso ai servizi, all’istruzione e alla cultura. Di fatto nelle democrazie liberali si sono creati due circuiti che non comunicano in nessun modo: quello dei più ricchi e quello degli altri. I due mondi corrono su binari paralleli che non si incontrano mai. Dal binario degli altri si può osservare il binario dei più ricchi ma, rigorosamente, senza parteciparne dei vantaggi e senza nemmeno potersi minimamente avvicinare.

La solitudine spinge anche alla ricerca di un alveo rassicurante nel quale non esiste competizione, rivalità, giudizio da parte degli altri. Un sorta di ritorno al grembo materno, come la definisce Bauman, dove l’individuo è accettato ed accolto senza reticenze. Per ricapitolare: “I fenomeni del «ritorno alle tribù» e del «ritorno al grembo materno» – due grandi affluenti del fiume in piena del «ritorno a Hobbes» – sgorgano sostanzialmente dalla stessa fonte: dal terrore del futuro, incorporato nell’imprevedibile, esasperante ed incerto presente. E si perdono nello stesso dedalo di vicoli ciechi. Non penso ci siano molte speranze di prosciugarli, a meno di riuscire a bloccare la sorgente da cui nascono, ossia di convincere, o costringere, l’Angelus Novus – «l’angelo della storia» – a voltarsi di nuovo”6.

E’ vero che con la globalizzazione e la separazione tra potere e politica è venuto meno lo Stato sovrano, il demiurgo cui storicamente era affidato l’arduo compito di progettare e costruire nel futuro una società inclusiva, ricettiva dei bisogni, sensibile alle aspirazioni degli uomini. Però, secondo Bauman non si può rispondere riproponendo il sovranismo, uno strumento superato rispetto al contesto generale di tipo cosmopolita. Il problema dunque è trovare uno strumento alternativo che sia adeguato a trattare la globalizzazione della finanza, dell’industria e dei commerci, del sapere e della comunicazione, dei problemi ecologici e della questione complessiva della sopravvivenza dell’umanità. Di fronte alla generale condizione cosmopolita lo Stato nazionale non è più in grado di svolgere una funzione collettiva. Si rendono necessari sistemi politici integrati di livello superiore a quelli sinora sperimentati (compresa la UE) per arrivare ad includere l’intera umanità. Ma questo deve comportare la rinuncia definitiva allo strumento di contrapposizione “noi versus loro”, sinora utilizzato per definire i confini dello Stato nazionale. Perché loro non esistono più. Esistiamo solo noi e dobbiamo trovare un accordo.

 

La crisi dello Stato sociale

Si è visto che per Bauman uno dei fattori di crisi che suscitano ed alimentano la retrotopia è l’aumento della disuguaglianza. In generale, ma compresi gli aspetti socio-economici. Un ulteriore elemento, sempre di carattere economico, è l’impoverimento dei ceti medi. E qui si inserisce la riflessione di Tito Boeri sulla distanza tra domanda ed offerta di protezione sociale nei Paesi più avanzati7.

Nella Figura 2, tratta dal testo di Boeri, sull’asse orizzontale sono riportate le classi di reddito (in percentili) della popolazione mondiale nel 1988: a sinistra si collocano i ceti più poveri, a destra quelli più ricchi. Sull’asse verticale sono riportate le variazione del reddito nei successivi 20 anni (misurate in termini di tasso di crescita cumulato). Si può osservare che nelle classi più povere della popolazione mondiale si è verificato un consistente tasso di crescita del reddito. Invece una crescita molto scarsa si è avuta nelle classi medio-alte, quelle comprese tra il 75° ed il 95° percentile. Si tratta dei ceti che nel 1988 si collocavano tra i più ricchi del mondo, che non hanno partecipato alla crescita globale e che hanno dovuto registrare un brusco peggioramento della loro posizione. Queste  classi che la globalizzazione del periodo 1988-2008 ha penalizzato economicamente corrispondono socialmente ai ceti poco istruiti dei Paesi più avanzati che costituiscono oggi l’area presso la quale trova maggiore accoglienza l’istanza populista.

Fifura 1.
Figura 2.

La assoluta rilevanza della questione economica nella genesi del fenomeno populista è emersa chiaramente in quella che è unanimemente considerata una vittoria straordinaria del populismo ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.  Nella Figura 3, anch’essa tratta dal testo di Boeri, si documenta la relazione inversa tra livello di remunerazione (misurato in termini di salario orario) e proporzione di voti favorevoli alla Brexit nel referendum del 2016. Tra i ceti che guadagnano meno, posti a sinistra nella figura, massima è la proporzione dei voti a favori dell’uscita della Gran Bretagna che invece diminuisce vistosamente man mano che il reddito sale.

Figura 2.
Figura 3.

Quindi non solo l’aumento della disuguaglianza ma anche l’impoverimento di un’ampia parte dei ceti medio-bassi dei Paesi avanzati, costituiscono il medium di coltura del populismo. Insieme alla sfiducia crescente  nei confronti delle vecchie classi dirigenti che hanno gestito, o piuttosto subito, la globalizzazione degli ultimi decenni.

Nelle democrazie liberali, la perdita di sicurezza economica e la richiesta di protezione che sale dai ceti popolari e dalla classi medie impoverite si incrocia inevitabilmente con la questione dell’immigrazione. La propaganda populista ha facile gioco nel diffondere l’impressione che sia in corso una tragica competizione tra i ceti impoveriti dalla crisi ed i migranti che sopraggiungono. Una competizione che naturalmente si svolge sull’accesso alle risorse sempre più scarse di uno Stato sociale sottoposto a forte dimagramento dal perdurare della crisi economica mondiale. In realtà, l’impatto economico dell’immigrazione risulta da un bilancio complesso tra la spesa destinata all’accoglienza, alla sanità e all’istruzione degli immigrati da una parte ed il loro contributo alla crescita del PIL e alla fiscalità generale dall’altra. Sono calcoli niente affatto semplici perché occorrerebbero valutazioni di lungo periodo al momento non disponibili. Ma non è escluso, ed anzi al momento appare probabile, che il bilancio sia positivo nel senso che il contributo degli immigrati è superiore alla spesa impegnata su di loro.

Tuttavia è vero che i sistemi di protezione sociale sono diventati inadeguati. Essi sono stati pensati per crisi temporanee e non funzionano nel corso di crisi strutturali quale quella che stiamo vivendo dal 2008. Così i sussidi della disoccupazione sono decisivi nel corso delle crisi cicliche perché danno fiato in attesa di una ricollocazione. Un’assistenza di questo tipo si rivela del tutto inadeguata di fronte a crisi prolungate o addirittura permanenti perché tutte le prestazioni sociali sono destinate ad esaurirsi dopo un periodo limitato di tempo. Perciò, a prescindere dalla strumentalizzazione anti-immigrazione, la crisi dello Sato sociale esiste ed è questo il vero problema.

 

CDL, 1 Novembre 2018

 

  1. Zigmunt Bauman. Retrotopia. Bari, Laterza, 2017. Naturalmente quando si cita il testo di Bauman ci si riferisce in realtà a quello che si è compreso dalla lettura in rapporto a quanto lo stesso autore ha ritenuto di dover esporre in maniera chiara. Per una recensione del testo di Bauman si veda: Goldkorn Wlodek. Da Bauman a Diamanti, viaggio al termine della democrazia, L’Espresso, 29 dicembre 2016.
  2. Alessandro Ziniti. Migranti, nuovo naufragio nel Mediterraneo: morti 3 bambini, 100 i dispersi. L’Italia chiude i porti alle Ong. La Repubblica, 29 Giugno 2018.
  3. L’ossessione per Soros e la bufala della sostituzione etnica. Valigia blu, 6 Luglio 2018.
  4. CDL. Atlante del neopopulismo europeo di destra. Democrazia Pura, 1 Aprile 2017.
  5. CDL. La crisi delle democrazie liberali. Democrazia Pura, 1 marzo 2018.
  6. Zigmunt Bauman. Retrotopia. Bari, Laterza, 2017, p. 153.
  7. Tito Boeri. Populismo e Stato sociale. Bari, Laterza, 2017.

 

 

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