Il sogno e la speranza. E la delusione.

 

 

Una analisi letteraria del sogno tratta dal romanzo “Rondini d’inverno” di Maurizio De Giovanni (1). Si trova in apertura, nel discorso pronunciato da una giovane ballerina di teatro che, nella Napoli degli anni ’30 e proprio nel periodo delle festività natalizie, pianifica l’omicidio della prima attrice, star di livello nazionale e donna bellissima, colpevole di aver intessuto una relazione con il proprio innamorato. Il commissario Ricciardi, della Regia Questura partenopea, non si fa ingannare dalle apparenze e, con non poche difficoltà, riesce a svolgere il bandolo della matassa individuando infine l’autrice dell’omicidio. Che, per salvare se stessa ed il proprio sogno, compie il gesto estremo di sparare al commissario, ferendolo gravemente, ma venendo arrestata dal brigadiere cui ella rivolge con questo discorso.

«Mi dispiace, brigadie’.

Mi dispiace assai.

Ma vale la pena provare a spiegarvi qualcosa, perché forse la colpa, alla fine, non è mia. O meglio, non solo. Anche se mio è il dito che ha premuto il grilletto.

La colpa, secondo me, è dei sogni. I sogni sono infami, brigadie’. Sono subdoli e traditori, i sogni. Ti convincono che la realtà, in fondo, non è del tutto vera, che si può cambiare, che si può migliorare. I sogni ti creano qualcosa nella testa e ti fregano, perché poi senza i sogni non riesci a campare più.

I sogni, brigadie, non sono sempre gli stessi. Dipende dal periodo dellanno. Quando la differenza tra il mondo che ti gira attorno e quello che tieni nella testa e nel cuore si fa più grande, quando il solco che li divide diventa più profondo e fa nascere una malinconia sottile, impossibile da scacciare, è allora che diventi più triste. E ti viene di fare qualche fesseria.

Quando sei al colmo della disperazione.

E tra i periodi dellanno questo è il peggiore. Perché il Natale, con la sua dolcezza, con le candele e gli zampognari e gli auguri, è passato e non tornerà, e ci si guarda in giro e si vedono le macerie di quello che si sperava e la nebbia avvolgere quello che ci si aspetta. I giorni dei sogni infranti.

Il Capodanno è terribile, brigadie’.

Terribile. A essere obiettivi è solo una giornata qualsiasi in mezzo a questo inverno, e stavolta pure un sabato, nemmeno la fine della settimana, che dopo c’è la domenica per raccogliere le idee.

Ma ci siamo messi tutti quanti d’accordo che proprio quel giorno, il giorno di Capodanno, si devono fare i bilanci, tirare le somme, una bella linea dritta per separare i sogni vecchi, che hanno fallito, dai nuovi. Il Capodanno. Che presa in giro.

Come se si potesse rinascere. Come se tutto quello che siamo, quello che abbiamo costruito non servissero più a niente e potessimo, o dovessimo, azzardare chissà quale impresa, solo perché un foglietto è stato tolto dal calendario. Come se cambiasse qualcosa.

Noi, lo sapete brigadie’, coi sogni ci campiamo. Coi nostri e con quelli degli altri.

Se vedeste quello che vedo io ogni sera, tre volte a sera, negli occhi di chi ci guarda, capireste che sono i sogni a mantenere in piedi la vita. E che se i sogni sono un modo di allontanarsi dalla realtà, e la pazzia è vivere in un’altra realtà, allora siamo tutti quanti pazzi, brigadie’. Pazzi.

In mezzo alla musica, attraverso il fumo e il vetro dei bicchieri, io li vedo gli occhi della gente. Mentre si stringono per capire le battute, mentre rapiti dai personaggi si colorano di allegria o di rabbia, mentre diventano lucidi di commozione, mentre si incantano di fronte alle gambe scoperte delle ballerine.

Gli occhi della gente, mentre si riempiono di sogni.

Che vi credete, brigadie’, è questo che cercano le persone quando vengono a teatro. Non vogliono solo passare la serata, portare la moglie o la fidanzata a prendere un poco d’aria o riempirsi di vino scadente. Vogliono sognare. Vogliono una realtà diversa dalla loro, per un paio d’ore, intervallo compreso. Se ci pensate, è a buon mercato, no? Poche lire per due ore di sogni.

Ma il problema è che ce li abbiamo pure noi, i sogni. Tutte le illusioni che facciamo piovere sulla platea, tre volte a sera, infettano anche attori e attrici, musicisti e ballerine. Impossibile essere immuni. Come i medici che hanno a che fare col tifo o col colera. C’è il rischio del contagio.

E cosi qualcuno di noi, uno di quelli col sorriso stampato in faccia sotto al cerone, con le finte lacrime e la voce impostata, con un logoro frac di scena o un cappello a cilindro o le calze a rete, qualcuno di noi comincia a sognare. E allora il guaio è grosso. Grosso assai.

Perché i nostri sono sogni che vengono dai sogni.

Theatre Stage with Gun and rose
Immagine tratta dal sito huffingtonpost.it

Per fare bene questo lavoro ci devi credere, pure se sei un musicista da niente, pure se sei una semplice ballerina di fila o un attore giovane, e figuriamoci se sei il primo attore o la prima attrice. A forza di ripetere quelle parole d’amore, di sussurrarle, di cantarle o di urlarle ci si crede, brigadie’. E si prende per vita vera quella che si consuma sulle assi polverose del palcoscenico.

Perciò il Capodanno è il giorno peggiore. Perché pensi: un altro anno cosi non reggo. Devo cambiare le carte in tavola. E pure la soluzione più assurda ti sembra possibile.

La colpa è dei sogni. I sogni ti illudono e ti fanno fare fesserie. Nella notte senza sonno, quando senti la mancanza di una mano e di un odore, di un sapore e di un sorriso, ti chiedi: perché no? In fondo, se faccio così e così, può andare bene, tutto può mettersi a posto. Basta rimuovere gli ostacoli, non è difficile.

E invece è difficile, brigadie’. È difficile. Ci sono un sacco di incastri, di particolari che nei sogni non ci stanno. La vita non è come la scena, dove basta una canzone per nascondere la realtà. La vita è diversa.

Adesso lo so. Adesso ho capito.

Per questo vi dico che la colpa non è solo mia. La colpa è di questi giorni maledetti in cui la gente ti abbraccia e ti dice: buona fine e buon principio. Ma non esistono né la fine né il principio, tutto continua tale e quale a prima. In questi giorni si stappano bottiglie in scena e in platea, ci si saluta come se dovesse passare chissà quanto tempo prima di ricominciare con le cose di ogni giorno, gli stessi gesti, gli stessi sguardi lanciati di nascosto, quelli che ti raccontano i desideri e le frustrazioni, le speranze e le disperazioni. Tanti auguri, ci diciamo fra noi, e non si capisce che il bene di uno dev’essere per forza il male di un altro, che la vita di uno può diventare la morte di un altro.

Tanti auguri. Che assurdità.

La colpa è dei sogni, brigadie’. Dell‘esistenza finta che conduciamo nel segreto delle notti infinite. Dell‘esistenza immaginaria che trasforma i momenti quotidiani in un peso insopportabile, e cosi fai quello che mai avresti pensato. Poi non ti resta che nascondere quanto è successo, sperando che nessuno arrivi a capirlo e che il sogno diventi realtà. È il sogno il vero colpevole, brigadie’.

Poi, all’improvviso, leggi negli occhi di qualcuno quello che hai sempre temuto: la scintilla della comprensione.

Dio, quanto mi dispiace.

È il momento più terribile, sapete? Quando ti rendi conto da un gesto, da una parola, che c’è chi ha capito. E il sogno, che fino a un attimo prima scintillava solido e possibile, comincia a sfaldarsi, a dissolversi nel nulla. Da quell’istante pensi solo a proteggerlo. A cancellare quella scintilla di comprensione. Perché, ti dici, se la elimino ce la posso fare. Ce la posso fare ancora.

Per questo ho premuto il grilletto, brigadie’. Mi dovevo difendere. Dovevo difendere quel sogno.

Lottavo per la vita che avevo coltivato notte dopo notte, per il sogno che avevo costruito momento dopo momento e che ormai credevo di aver realizzato. Non solo sulla scena. Non solo in una canzone. Non solo per finzione.

Buona fine e buon principio. Forse è vero, brigadie’. Per esserci un principio, ci deve essere per forza una fine.

Per questo oggi ve lo dico, e voi mi dovete credere. Lo dovevo fare, mi capite, no? Perché avevo visto la scintilla della comprensione in quegli occhi. In quei maledetti occhi verdi.

Mi dispiace, brigadie’.

Mi dispiace di aver sparato al commissario Ricciardi».  

01 Immagine tratta dal sito baritoday
Immagine tratta dal sito baritoday.

 

(1) Maurizio De Giovanni. Rondini d’inverno. Sipario per il commissario Ricciardi”. Torino, Einaudi, 2018. Il discorso pronunciato dalla ballerina, alle pagine 4-7, costituisce il capitolo iniziale recante il titolo “La fine”.

 

CDL, 12 Gennaio 2019. Pubblicato su Il Sestante il 16 Gennaio 2019.

 

 

 

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