Kurdistan ovvero Europa

 

 

Sulla questione curda, sostiene Cacciari, l’Unione Europea si gioca il proprio futuro. Non solo e non tanto sul piano geopolitico perché Stati Uniti e Russia utilizzano la vicenda dei curdi siriani anche per mettere in difficoltà l’Europa (sebbene questo non sia il loro obiettivo principale). Ma soprattutto sul piano dei principi fondanti perché è sulla difesa delle nazionalità oppresse che si gioca l’idea stessa di Europa come baluardo della democrazia liberale e del rispetto dei diritti dei popoli.

Non può l’Europa delle idealità avere un duplice e opposto atteggiamento a seconda che il problema sia interno o esterno ai propri confini. Non può mostrare empatia verso istanze indipendentistiche, come quella scozzese, che riguardano l’aspirazione legittima di una nazione a rimanere ancorata nella UE e, nel contempo, chiudere gli occhi di fronte all’oppressione spietata di altri popoli cui viene negato un diritto ancora più primordiale, quello di esistere e di rispondere alla repressione violenta. Così facendo l’aspirazione universalistica dell’Europa si restringe all’orizzonte più limitato degli Stati-Nazione dell’Ottocento, liberali verso i propri cittadini, ma colonialisti quando non addirittura imperialisti nei confronti degli altri popoli. Una contraddizione esiziale per l’Europa la cui ragione di essere, è dimostrato, non può essere solo economica ma necessariamente fondata su valori condivisi e, soprattutto, sul loro perseguimento. Senza dimenticare, poi, che dal  modello degli Stati-Nazione scaturirono tragedie inenarrabili, comprese due guerre mondiali.

Nell’articolo che segue, pubblicato di recente, Massimo Cacciari spiega le ragioni per le quali l’Europa rischia di estinguersi definitivamente sulla questione curda (Massimo Cacciari. Così li abbiamo traditi. L’Espresso, n. 43, 20 ottobre 2019.).

CDL, 28 ottobre 2019

 

Così li abbiamo traditi

Massimo Cacciari

Abbiamo chiesto a un popolo di sacrificarsi nella lotta al terrore. Si sono fidati, li abbiamo abbandonati. Su quel fronte muoiono anche i nostri valori.

L’Europa si spegne nella Realpolitik. La sinistra è inesistente. La tragedia rivela che l’opinione pubblica è capace di mobilitarsi sui principi universali, come il clima, ma non sulla politica che è lotta, conflitto, scelta tra amico e nemico.

L’idea di una Europa capace di svolgere un proprio ruolo nella storia del mondo, capace di immaginare una propria missione per una pace che significasse dialogo tra culture, riconoscimento del valore di ciascuna, concordia oppositorum, è forse finita per sempre. Siamo a una svolta che non ammette più “politica delle illusioni”, che sembra ormai ridurre quella idea a chiacchiera retorica, quando non a indecente ipocrisia. Non si tratta più, infatti, come ormai accade dalla caduta del Muro, della semplice impotenza che assiste alle tragedie senza saper esprimere una sua posizione o obbedendo più o meno docilmente alla voce del più forte. 

Oggi siamo di fronte a qualcosa di tremendamente più serio: l’Europa tradisce. Il tradimento in politica è un atto decisivo, l’equivalente del giuramento. Il giuramento rovesciato. Con conseguenze irreparabili, poiché chi tradisce diviene un nemico per coloro che avevano creduto in lui. Il popolo curdo aveva creduto in noi. Avevamo invocato il suo aiuto e il suo sacrificio. Il terrorismo del sedicente Stato islamico colpiva l’Europa con effetti più dirompenti e destabilizzanti che in qualsiasi altro Paese, i suoi attentati assumevano da noi un significato anche simbolico quasi pari a quello delle Torri di New York, la guerra che provocava dall’Iraq alla Siria minacciava di rendere i flussi migratori una marea irrefrenabile. I curdi sono scesi in lotta anche per noi. È intervenuto un patto, evidente come la luce del sole, innegabile, non importa nulla se scritto o meno: che saremmo stati al loro fianco nella loro sacrosanta rivendicazione di uno Stato nazionale. E questo patto noi lo abbiamo stracciato. Che Trump giunga perfino al punto di ridicolizzarlo – i curdi non ci hanno mica aiutato nella guerra contro il nazismo – va da sé: Trump è l’immagine evidente, fisicamente evidente, di un Occidente che ha smarrito ogni capacità di parlare al mondo un linguaggio diverso da quello del proprio interesse economico, commerciale, materiale. Ma l’Europa? L’Europa, chiamata, per la sua stessa collocazione geografica, ad affrontare i terremoti medio-orientali, il permanente stato di conflitto israeliano-palestinese, la straordinaria pressione che su di essa esercita la semplice crescita demografica del continente africano, può permettersi di perdere ogni fiducia da parte dei popoli coinvolti in tali sconvolgimenti? Certo, questo non è che l’esito forse destinato delle politiche dei Blair al seguito delle guerre dei Bush, dello sciagurato intervento francese in Libia, della incapacità di dotarsi di una strategia di politica internazionale comune (la politica è politica estera, dice chi se ne intende) in ogni situazione di crisi. Ma oggi il salto è drammatico: l’Europa abbandona i curdi alle decisioni che verranno prese su tavoli dove brillerà per la sua totale assenza, quei curdi che essa aveva esplicitamente chiamato a combattere. E che poteva fare – chiedono gli immancabili “realisti”? Che poteva fare oltre al ricorrere all’eterna finzione degli “embargo”, oltre al non vendere le armi già vendute, ecc. ecc.? probabilmente nulla – e proprio questa è la tragedia, miserabili stenterelli della Realpolitik. Potete credere a una futura Europa senza difesa comune, senza alcun ruolo politico internazionale, impotente a qualsiasi intervento autonomo in aree di crisi e che, alla fine, non unisca in toto la sua voce a quella degli alleati quando un esercito nemico li attacca per distruggerli? È questa per voi una visione “realistica” dell’Europa? Benvenuti alla festa per il suo definitivo funerale. Vedremo come decideranno si svolga la cerimonia Stati Uniti, Russia, Cina nel loro disordine globale.

Copertina di Zerocalcare, L’Espresso 27 ottobre 2019

Qualcosa è avvenuto anche nel nostro Paese nel corso degli ultimi quindici, venti anni, qualcosa che a me pare degno davvero di una “realistica” considerazione. Ricordate i giorni della guerra in Iraq, della caccia a Saddam e alle sue micidiali armi segrete? In tutte le nostre città milioni di finestre con le bandiere della pace, migliaia di manifestazioni, la diffusa coscienza che quella guerra avrebbe portato alla proliferazione di fondamentalismi e terrorismi. Bisogno di contare, di essere ascoltati, di discutere e comprendere. Come spiegare la completa assenza oggi di una opinione pubblica di massa che esprima la propria indignazione e la propria solidarietà, mente e cuore, nei confronti della tragedia curda? È forse il frutto di una delusione profonda, di un disincanto amaro. Forse l’effetto della crisi economica e sociale che ha spazzato via ogni cieca fede nelle meravigliose sorti e progressive dei nostri “Stati del benessere”. Forse il ripiegarsi in se stesse di culture ormai vecchie, che dispongono delle energie appena sufficienti a difendere il proprio habitat. Forse, chiediamocelo con onestà intellettuale, hanno questo senso anche le grandi manifestazioni per l’ambiente. Non è stupefacente che milioni di giovani scendano in piazza per la salute della madre Terra e neppure mezzo sciopero per quella delle madri curde, dei loro bambini, dei migranti annegati nel Mare nostro? Può esservi salute della Terra se quella parte della natura che è l’uomo soffre inenarrabilmente in metà del pianeta?

La domanda se la dovrebbe rivolgere la cosiddetta sinistra europea, che di un’idea di nuova Europa si millanta portatrice. Un partito “di sinistra” non può dirsi tale se non riesce a esprimere la propria posizione su una crisi politica che assume i caratteri di una tragedia umanitaria, se non con le “comunicazioni” di qualche direzione o dirigente e qualche question-time parlamentare. Il non volere o l’essere del tutto incapaci di mobilitare due cani e mezza piazza su drammi di tale rilievo è indifferente per la sinistra europea e nostrana? A me pare invece il segno più evidente della sua crisi – e sono certo che se tornassero oggi tra noi i suoi leader di un tempo così apparirebbe anche a loro. Vedete un po’ il caso: come sembra facile da noi la mobilitazione via web, media, ecc., quando si tratta di inquinamento e clima, e quanto difficile, se non impossibile, quando il problema è specificatamente politico, di lotta politica, quando cioè non si tratta di “valori universali”, ma di capire chi è l’amico e chi il nemico e organizzarsi contro quest’ultimo. Allora ci vuole appunto, o ci vorrebbe, organizzazione, informazione vera, sedi di discussione democratica, assemblee e congressi che decidano linee concrete di condotta, dirigenti autorevoli, rappresentanze forti. Ma il post-moderno insegna e impera: la politica si fa con tweet e like, insulti e idiozie in rete, fake news e piattaforme Rousseau. Il resto è passato. E i curdi crepino pure, basta che Erdogan si tenga i migranti, naturalmente a un equo canone.

 

 

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