Globalizzazione ed accountability

 

 

Oggi viviamo l’obiettiva necessità di trovare nuove forme di controllo in un contesto mondiale che risulta caratterizzato dalla definitiva traslazione del livello decisionale dall’ambito politico a quello economico-finanziario e dalla conseguente trasformazione del potere da elemento identificabile e controllabile a fenomeno imperscrutabile ed arbitrario.

Molti autori, in particolare quelli di tradizione repubblicana, ritengono che l’idea forza della democrazia non sia il consenso ma la possibilità di contestare le decisioni. Il tema della contestabilità e della conflittualità che ne scaturisce appare oggi centrale alla luce di una globalizzazione i cui principali protagonisti, i poteri finanziari, sfuggono alla responsabilità delle decisioni. La contestabilità ha come presupposto la individuazione sia dei soggetti titolari di un diritto  che dei soggetti che portano il dovere di una responsabilità di cui sono chiamati a rispondere. E’ questo il tema della accountability, già discussa in un altro contributo pubblicato nel sito1, di cui si riporta la parte finale.

Le origini di questo pensiero (quello relativo alla contestabilità, nda) risalgono alla concezione romana e agli istituti giuridici di garanzia rivolti in particolare alla plebe, la provocatio ad popolum e l’auxilium tribunicium2, in base ai quali il cittadino della repubblica poteva invocare,  rispettivamente, il giudizio dei comizi e la difesa dei tribuni nei confronti di una decisione del magistrato ritenuta ingiusta.

In senso più estensivo gli autori repubblicani teorizzano la necessità e l’utilità del conflitto, a partire da Machiavelli e dalle sue concezioni di virtù e di vita activa3. Come sottolineato da Marco Geuna4, nel pensiero di Machiavelli il conflitto ha un ruolo centrale e positivo in quanto motore di cambiamento verso equilibri sempre più avanzati. Una chiara opposizione al pensiero allora dominante sul potere sovrano che neutralizza i conflitti, pensiero che troverà in Hobbes l’interprete massimo. Secondo Machiavelli, invece, il conflitto è ineliminabile perché ineliminabile è la pluralità costitutiva del corpo sociale. Ma proprio dai conflitti scaturisce il progressivo assestamento delle istituzioni su equilibri sempre più stabili perchè sempre più rappresentativi della volontà popolare. Machiavelli va persino oltre, sino ad attribuire al conflitto l’evoluzione stessa del potere in senso libertario. Naturalmente egli riteneva che per svolgere questa funzione progressista il conflitto dovesse mantenere una sua fisiologia. Così ammetteva che i conflitti più produttivi erano quelli che, utilizzando una terminologia moderna, possono essere considerati relativi al “riconoscimento di un diritto” mentre i più pericolosi erano quelli cosiddetti “di interesse”.

In buona sostanza si può concludere che la legittimità del conflitto politico differenzia la democrazia dal regime totalitario. Questo principio rimarrà una costante nel pensiero democratico successivo. Nei “Doveri dell’uomo” Mazzini scriveva “Voi avete dunque diritto alla Libertà e Dovere di conquistarla in ogni modo contro qualunque potere la neghi”. Da notare che “Dovere” è sottolineato da una maiuscola non utilizzata per “diritto”. Mazzini aggiunge “Senza libertà non esiste Morale, perchè non esistendo libera scelta fra il bene ed il male, fra la devozione al progresso comune e lo spirito d’egoismo, non esiste responsabilità”5. In sostanza il dovere di libertà configura due tipi di responsabilità:  verso se stessi e verso gli altri. In questo modo Mazzini realizza il passaggio dalla contestabilità politica alla responsabilità politica.

Questa concezione si avvicina molto a quella anglosassone di accountability, termine inglese in genere tradotto con “responsabilità”. Esso però nella cultura anglo-sassone esprime un idea più ampia e profonda che non la semplice scelta consapevole o l’accettazione di un dovere giuridico. Accountability infatti sta per un dover render conto agli altri del proprio operato in senso ampio e non solo dal punto di vista giuridico.

Lungo il percorso di questo concetto nella cultura anglosassone dalle prime discussioni6 sino ad oggi7. Esso si compone di almeno due elementi fondamentali: l’obbligo di rispondere da parte di chi prende le decisioni (answerability) e la possibilità di sanzionare e correggere una violazione da parte degli organismi di garanzia (enforcement). Dal punto di vista formale l’accountability viene solitamente distinta in orizzontale, quando si estrinseca attraverso le istituzioni pubbliche che controllano altri poteri pubblici, e verticale, quando l’azione di vigilanza viene esercitata dai cittadini e dalle organizzazioni della società civile8.

Perché l’accountability verticale possa funzionare è necessario rimuovere la cosiddetta “asimmetria informativa” connaturata alla relazione che, con linguaggio economico, si definisce principale-agente. Quando un agente (ad es. il manager) opera per conto di un principale (gli azionisti), il rapporto è squilibrato dal fatto che gli attori non hanno le stesse informazioni. Diventano allora necessari dei meccanismi correttivi per allineare gli interessi dell’agente con quelli del principale. Questo tipo di rapporto e lo stesso problema dell’asimmetria informativa, entrano in gioco anche nella relazione politica tra cittadini e istituzioni9. In questo caso non è altrettanto chiaro quali meccanismi adottare perché tutti gli attori abbiano le stesse informazioni mettendo il delegante nella condizione di controllare il delegato.

L’esistenza di percorsi di controllo verticali non significa che la democrazia sia operante. Sosteneva Guillermo O’Donnell, eminente filosofo politico argentino, che nelle “nuove democrazie” (alcune nazioni del sud-america, del sud-est asiatico, dell’est europeo; colossi mondiali come l’India) i criteri dell’accountability verticale sono rispettati in quanto si tengono elezioni libere10. Aggiungeva che nel contempo queste democrazie soffrono invece di un’accountability orizzontale debole o intermittente, conseguenza di un deficit di cultura repubblicana e liberale. Egli partiva dall’assunzione che la tradizione liberale annette importanza ai diritti, soprattutto privati, mentre quella repubblicana attribuisce rilevanza decisiva ai doveri, soprattutto pubblici. Propria la debolezza di queste culture condiziona nelle nuove democrazie l’insufficienza dei meccanismi di controllo che nell’insieme definiscono l’accountability verticale ed orizzontale.

Dal processo di globalizzazione economica emerge però una difficoltà inedita. I grandi gruppi economico-finanziari assumono decisioni che hanno conseguenze su milioni di persone con le quali non hanno alcun rapporto, tantomeno di tipo delegato-delegante. E milioni di persone subiscono gli effetti di decisioni di cui non sanno nulla. Quanti, anche nelle democrazie occidentali, conoscono i nomi di coloro che hanno portato il mondo sull’orlo del baratro attuale? E questa condizione, per utilizzare il linguaggio politico da cui si è partiti, non espone ad un vero e proprio dominio che minaccia la libertà e la dignità degli individui?

La globalizzazione pone problemi nuovi. Essa è dominata da un potere finanziario che può essere considerato omogeneo perché i vari centri che lo compongono si muovono, per ragioni di interesse, in modo coerente riuscendo così a orientare l’intero mercato mondiale. Non esiste alcuna relazione orizzontale tra questo potere finanziario, che agisce su scala mondiale, ed i governi, che si muovono al massimo su una dimensione sovra-regionale quando addirittura non rimangono ancorati a dinamiche locali anche contraddittorie. La prima questione dunque è la costituzione di organismi internazionali attraverso i quali i governi possano condizionare il potere finanziario e stabilirne una accountability orizzontale. La seconda questione riguarda la necessità di migliorare l’efficienza del controllo verticale nella relazione cittadini-governi attraverso la rimozione dell’asimmetria informativa. Solo a questo punto i due percorsi possono saldarsi per creare una sorta di accountability diagonale a mezzo della quale i cittadini possano controllare le istituzioni finanziarie.

Inoltre, perché i due percorsi possano funzionare risulta decisiva la capacità di sanzionare comportamenti non corretti, come accaduto nel caso Islanda, dove la classe politica che ha portato il Paese al default è sotto processo e l’ex ministro delle Finanze è già stato condannato a due anni di carcere.

I problemi sono ancora tutti aperti e le soluzioni di là da venire. Certo è che oggi la globalizzazione sta realizzando nuove forme di schiavitù nei Paesi emergenti ma anche nuove forme di servitù nelle democrazie occidentali. Nel momento in cui è possibile identificare i centri di potere che governano il mondo, diventa possibile contestare ad essi gli effetti delle loro politiche. E’ necessario trovare nuovi meccanismi di vigilanza e di controllo e nuove forme di sanzionamento che rendano praticabile un’accountability globale.

 

CDL, Tivoli, 29 maggio 2013

 

1. Si veda “Attualità del repubblicanesimo”.

2. Joseph  Plescia . Judicial accountability and immunity in roman law. In: The American Journal of Legal History, 2001, Vol. 45, n. 1, pp. 51–70.

3. Una ricostruzione della natura della conflittualità repubblicana è presente in: Thomas Casadei. La traiettoria del repubblicanesimo conflittualista tra storia e teoria del diritto. In: Il senso della repubblica. Frontiere del repubblicanesimo. A cura di Sauro Mattarelli. Franco Angeli, Milano, 2007.

4. Marco Geuna. Machiavelli ed il ruolo dei conflitti nella vita politica. In: Conflitti, A. Arienzo e D. Caruso (a cura di), Napoli, Dante & Descartes, pp.19-57, 2005.

5. Giuseppe Mazzini. Doveri dell’Uomo. Londra, 1860.

6. Clarence A. Dykstra. The Quest for Responsibility. In: The American Political Science Review, 1939, vol. 33, n. 1, pp. 1–25.

7. Chrostofer Williams. Leadership accountability in a globalizing world. Palgrave McMillan, New York, 2006.

8. Rick Stapenhurst, Mitchel O’Brien on behalf of The World Bank. Accountability in governance.

9. John Ackerman. Concept paper: accountability & society. In: Understanding social accountability: a concept review workshop. Washnigton D.C:,  The World Bank, January 24th 2004.

10. Guillermo A. O’Donnell. Horizontal Accountability in New Democracies. Journal of Democracy 9.3 (1998) 112-126.

 

 

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