Il trompe-l’oeil a Roma (e in Grecia)

 

 

Nel trompe-l’oeil l’intento dell’artista è quello di ingannare l’occhio superando i limiti della bidimensionalità per indurre l’illusione di una realtà tridimensionale. Così inteso il trompe-l’oeil  nasce con la pittura stessa. I tentativi più ingenui sono rintracciabili già nelle civiltà più antiche, a cominciare da quella egizia. Tuttavia è in epoca romana che il trompe-l’oeil giunge a maturazione tecnica e in proposito basti osservare gli affreschi pompeiani della Villa dei Misteri e di altre lussuose residenze (Figure 1-2).

01 Villa dei Misteri a Pompei
Figura 1. Villa dei Misteri a Pompei.
02 Affresco pompeiano di sede non specificata
Figura 2. Affresco pompeiano di sede non specificata.

Sulla rappresentazione iconografica della realtà, volendo ripercorrere vicende antiche, non si può non ricordare la leggenda della gara tra due celeberrimi pittori della Grecia classica, vissuti nel V-IV secolo a.C., Zeusi e Parrasio, che si confrontarono proprio sulla capacità di ingannare l’occhio. Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C. (1), narra che Zeusi, dopo aver dipinto dei grappoli d’uva in modo così mirabile che gli uccelli accorrevano a beccare, si avvicinò al quadro di Parrasio e trovandolo coperto da un drappo, lo volle scostare per vedere l’opera del rivale. Accorgendosi che in realtà il telo era dipinto. Zeusi concesse allora la vittoria a Parrasio riconoscendo che se egli aveva ingannato degli uccelli, il rivale era stato capace di illudere un artista.

Questo il testo latino e la sua traduzione:
«Descendisse hic (Parrhasius) in certamen cum Zeuxide traditur, et cum ille (Zeuxis) detulisset uvas pictas tanto successu ut in scaenam aves advolarent, ipse (Parrhasius) detulisse linteum pictum ita veritate repraesentata, ut Zeuxis alitum iudicio tumens flagitaret tandem remoto linteo ostendi picturam atque intellecto errore, concederet palmam ingenuo pudore, quoniam ipse volucres fefellisset, Parrhasius autem se artificem. Fertur et postea Zeuxis pinxisse puerum uvas tenentem, ad quas cum advolassent aves, eadem ingenuitate processit iratus operi, et dixit: “Uvas melius pinxi quam puerum, nam et hunc consumassem, aves timere debuerant”».
[Si tramanda che costui (Parrasio) fosse sceso in gara con Zeusi, e che dopo che quello (Zeusi)  ebbe dipinto dei grappoli d’uva con così grande efficacia che sulla scena accorsero gli uccelli, egli stesso (Parrasio) avesse dipinto una tenda finta raffigurata con un realismo così veritiero che Zeusi, gonfio di orgoglio per il giudizio degli alati chiese che infine, rimosso il drappo, gli venisse mostrato il quadro e che compreso l’errore con nobile modestia concesse la vittoria dal momento che lui aveva tratto in inganno gli uccelli, mentre Parrasio aveva ingannato lui stesso che era un artista. Si narra anche che dopo in un’altra occasione Zeusi avesse dipinto un giovane che recava dei grappoli d’uva, e che quando gli uccelli accorsero all’uva, con la stessa sincerità, andò sdegnato davanti all’opera, e disse: “Ho dipinto meglio l’uva del ragazzo, poiché se avessi realizzato alla perfezione anche questo, gli uccelli avrebbero dovuto temerlo”.]

Antico dunque è il desiderio dell’artista di rendere il proprio dipinto non semplicemente plausibile ma (quasi) vero utilizzando lo strumento della costruzione tridimensionale come rappresentazione della realtà. E dal racconto di Plinio il Vecchio  si intuisce che la pittura nella Grecia classica sia anch’essa improntata da quella  ricerca della verità che costituisce forse l’elemento saliente della filosofia razionalistica greca. Dalla realtà alla verità: il sogno dei filosofi ma anche degli artisti. Gli stessi affreschi della Villa dei Misteri a Pompei non raccontano storie fantastiche ma esplicitano una verità, quella interpretata attraverso  i canoni del culto dionisiaco (2), che sulla base dell’interpretazione nietzschiana della tragedia greca costituisce uno dei canali della conoscenza (in rapporto dualistico con la modalità apollinea).

E chissà se Vermeer volesse alludere alla antica gara tra Parrasio e Zuesi quando, nel 1657, dipinse la “ragazza che legge una lettera” nella quale volle riprodurre un piatto colmo di frutta e, in primo piano, una tenda verde accostata sulla destra (Figura 3). In tutta evidenza nessuno può saperlo ma forse anche Vermeer, maestro nel rappresentare gli ambienti domestici, ebbe qualche indulgenza verso il trompe-l’oeil come strumento di indagine di una realtà più complessa.

Figura 3. Jan Vermeer. La ragazza che legge la lettera; cm 83 x 64,5; 1657.
Figura 3. Jan Vermeer. La ragazza che legge la lettera; cm 83 x 64,5; 1657.
  1. Il racconto è presente nel XXXV libro della Naturalis historia. La traduzione riportata è tratta liberamente da due fonti: “Una gara di pittura tra Zeusi e Parrasio”  del sito SkuolaSprint e “Zeusi e Parrasio” del sito Splash Latino.
  2. Riapre la Villa dei Misteri. Archeo, 362: 72-97, 2015.

 

CDL, 6 Novembre 2018.Pubblicato su Il Sestante il 5 Aprile 2018.

 

 

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